Maria Letizia Gorga è un’attrice romana, nota per la sua versatilità e la capacità di volteggiarsi liberamente tra teatro, cinema e musica. Ha collaborato con importanti registi e ha portato in scena spettacoli di grande intensità, spesso ispirati a figure femminili di spicco. Per il suo impegno, il 21 dicembre 2015 è stata insignita dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, un riconoscimento che sottolinea il valore del suo contributo alla cultura nostrana.
Icona incontournable, Dalida, nata Iolanda Cristina Gigliotti il 17 gennaio 1933 al Cairo da genitori calabresi, ha vissuto un’esistenza straordinaria. Artista ineguagliabile, la diva ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della musica. La lotta tra la donna e il personaggio pubblico ha favorito insormontabili difficoltà, tanto che Iolanda, il 3 maggio 1987, ha deciso di consegnare Dalida all’immortalità, à sa manière, con le parole: “La vita mi è insopportabile. Perdonatemi“.
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Maria Letizia Gorga: “In Avec le temps racconto Dalida, mille donne in una sola“
Avec le temps, Dalida racconta la storia di un’icona senza tempo tramite gli occhi di un’appassionata ammiratrice. Tra melodie memorabili (come Mama; Bang Bang; Quelli erano giorni; Bambino; Un po’ d’amore; Je suis toutes les femmes; Fini, la comédie; Gigi l’Amoroso, fra le altre), viene presentato un notevole tributo a un mito che ha saputo attraversare epoche e culture con la sua musica e il suo carisma. Mille donne in una sola, Dalida è passata dall’essere Miss Egitto 1954 fino a diventare una delle più grandi cantanti francesi di sempre. Riconosciuta con rilevanti premi dai capi di Stato di diverse nazioni, la sua influenza è stata senza precedenti.
Dalida ha incarnato molteplici identità: diva hollywoodiana, icona mediorientale e, dopo la sua morte, una figura di culto. Dietro il successo, però, c’era una persona che ha vissuto tra amore e sofferenza. Questo spettacolo, dunque, la omaggia con rispetto e devozione, ripercorrendo le ombre di una donna ferita e le luci di una star che ha lasciato un’eredità artistica indelebile.
Maria Letizia Gorga, come arriva questo progetto su Dalida?
È una lunga storia d’amore, nata ormai 20 anni fa su richiesta proprio degli ammiratori di Dalida, che mi hanno incoraggiata a raccontare in Italia la storia di questa grande artista di origine calabrese, ricordata più nella sua terra d’adozione, la Francia, che qui. Senza dimenticare, però, l’ascolto ripetuto ed appassionato dei suoi 45 giri che mio nonno mi faceva ascoltare, uno fra tutti quello con l’incisione di Oh Lady Mary. Da qui parte la mia richiesta all’autore e regista Pino Ammendola, che ha avuto l’idea di far partire il racconto dalla mia passione come sua fan, incrociandolo con quei brani che ripercorrono il filo della sua vita. Da 20 anni mi accompagnano con fedeltà e amore per il progetto alcuni musicisti con cui continuo a condividere questo viaggio: Stefano De Meo al pianoforte (che ha curato anche gli arrangiamenti), Laura Pierazzuoli al violoncello, Pasquale Laino e Luciano Orologi ai fiati, ed altri che si sono alternati negli anni. Così come mi è accanto Paolo Dossena, autore di alcuni brani di Dalida e creatore della Compagnia Nuove Indye.
Se non fosse per Lei, in Italia si parlerebbe sempre meno di Dalida. Qual è la ragione?
Il Suo è stato uno dei primissimi omaggi in assoluto dedicato alla vedette nel nostro Paese. Ha avuto modo di poter vedere o ascoltare altri tributi musicali e filmici? Se sì, che cosa ne pensa?
Purtroppo l’Italia ha la memoria corta e un’eccellenza della musica come Dalida merita di avere più spazio di ascolto e di celebrazione.
Sì, sono stata la prima ad occuparmene in teatro, anche perché scarseggiavano biografie tradotte in italiano e il materiale era solo reperibile in Francia nel 2002. Ci hanno aiutato gli innumerevoli fan a raccogliere materiale, aneddoti e notizie interessanti su Dalida, con un amore e una precisione commoventi.
I tributi televisivi e cinematografici, oltre che discografici, venuti successivamente sono stati fatti con altrettanto amore e hanno il pregio di riportare all’attenzione questa artista straordinaria che ha venduto più dischi di Frank Sinatra.
In Avec le temps, Dalida, oltre a recitare, Lei interpreta dei successi intramontabili della diva. In un repertorio molto vario, che tocca i refrains leggeri, le chansons à texte dei cantautori francesi e la disco music, quale brano la tocca particolarmente?
Dalida è riuscita ad incarnare l’ideale di ogni tempo che ha attraversato, scegliendo con determinazione la sua vita e la sua carriera, cogliendo le trasformazioni, le mode, i cambi di passo, sfidando chi avrebbe sempre voluto relegarla in un unico repertorio e che lei ha saputo sorprendere con interpretazioni e scelte coraggiose ed inaspettate. Cantando in più lingue, ha varcato i confini geografici ed è entrata nell’immaginario collettivo dei fan di tutto il mondo, donando ogni giorno della sua vita ad un incontro totale e appassionato con il suo pubblico. Una, cento, mille donne in un’artista che ha rinunciato a Iolanda Cristina Gigliotti per essere per tutti ‘solo’ Dalida.
Sicuramente amo molto il brano che dà il titolo allo spettacolo: Avec le temps di Léo Ferré. Segna una vera svolta nel repertorio di Dalida con cui abbraccia la canzone d’autore, fino all’incontro con Tenco poco visitata. È la consacrazione anche in un territorio che fino ad allora la snobbava. Nel sacro tempio dell’Olympia, fa il salto verso gli chansonniers francesi, ottenendo un successo meraviglioso. Lei vince sempre quando racconta parti di sé in cui tutti possano ritrovarsi un po’.
Nella sua meravigliosa carriera, Lei ha incarnato numerose donne: libere, coraggiose, indipendenti. In tempi non sospetti, solo per citarne alcune, Dalida, Amelia Rosselli, Mercedes Sosa e Mathilde (personaggio di Daniele Falleri nell’opera Mathilde – Cronaca di uno scandalo, in cui accade un qualcosa di analogo al testo di Il venait d’avoir 18 ans) hanno deciso loro chi e come amare. Che cosa hanno in comune queste figure femminili padrone di loro stesse in periodi in cui il patriarcato la faceva da padrone più che mai?
Ognuna delle donne che racconto ha qualcosa di veramente speciale e fa da specchio a quegli ideali che inseguiamo un po’ tutti: determinazione, coraggio, sacrificio, passione per l’arte e per la vita, per lasciare un segno nella storia con la slancio fecondo della propria ispirazione. Chi non vorrebbe raccontarsi così.
Come la Sua Mercedes Sosa, anche Dalida era una celebrità impegnata. Si è costantemente battuta per i diritti delle minoranze. In più, essendo lei nata in Egitto, è conosciuta come “la cantante della tregua” in Medio Oriente. La leggenda narra che il Presidente egiziano ‘Anwar as-Sādāt sia stato accolto dalla famosa canzone di genere raï Salma Ya Salama in occasione del suo viaggio in Israele nel 1977.
Qual è il suo pensiero su ciò che sta avvenendo in quei posti del globo e qual è il ruolo degli artisti in contesti del genere?
L’artista parla attraverso il suo strumento e si fa voce di qualcosa che a volte giace inespresso per impossibilità. Siamo lo specchio della società, in ogni luogo e tempo perché raccontiamo luci e ombre della vita, le peculiarità dell’animo umano. Oggi non possiamo tacere sulle atrocità delle guerre, ovunque ancora si combattano. Dobbiamo farci ponti di pace e ricordare che l’arte, la musica e la cultura offrono strade di dialogo, abbattono barriere e confini interculturali ed etnici: ci ricordano chi siamo, o meglio, chi dovremmo essere.
Con il pezzo À ma manière, tratto da Avec le temps, Dalida, che Lei riproduce magistralmente, ha preso parte al film Youth – La giovinezza del regista Premio Oscar Paolo Sorrentino. Com’è andata?
Ringrazio molto Paolo Sorrentino che mi ha voluto nel suo Youth e che ha scelto uno dei brani di questo spettacolo, À ma manière, perché lo cantassi nel film e nella sua colonna sonora. Un incontro indimenticabile! La sua sensibilità ha saputo cogliere l’urgenza di un canto appassionato che poi ha evidenziato nella pellicola attraverso il racconto della solitudine e della necessità dell’artista.
Dalida, donna emancipata, ha vissuto diverse vite in una sola. Quale evento l’ha colpita maggiormente, anche alla luce di doverlo riferire al pubblico?
È d’accordo con l’affermazione che per un artista morire in scena sarebbe il massimo, come asseriva Dali in Mourir sur scène?
M’interessa riferire di Dalida il sacrificio della persona a favore dell’artista, l’aver colto sempre il tempo giusto e averlo saputo raccontare, l’aver combattuto per l’elogio delle diversità. «La passione non ottiene mail il perdono», diceva Pasolini e mai come in questo caso il prezzo pagato è stato altissimo.
Noi viviamo e moriamo sulla scena mille volte, tanto che, quando Molière lo fece veramente, il pubblico disse che era morto male quella sera. Noi dobbiamo raccontare l’universale e non il proprio particolare che interessa a pochi.
Nella canzone Ensemble, che racchiude il valore di aprirsi, si racconta un incontro davvero sofferto: quello tra Iolanda, la ragazzina anonima ma sognatrice proveniente dal Cairo, e Dalida, la stella internazionale ferita. La seconda ha seppellito le emozioni della prima per emergere, non permettendosi la debolezza. Si assiste ad un vero e proprio dialogo, in cui una persona cerca di mettere insieme, “per una volta”, le sue due nature, insistentemente in conflitto. Avanti anni luce, Dalida mette a disposizione dell’ascoltatore uno sforzo che l’umanità tenta di fare, quasi irrimediabilmente, ogni giorno: conciliare le personalità in contrasto che abitano l’essere e fare i conti con le luci e le ombre della propria anima.
Come Lei riporta nel recital, Dalida aveva dichiarato dopo il suo primo tentativo di suicidio: “Ho cominciato il viaggio più interessante che l’uomo possa fare… quello dentro di sé… perché se non ci si conosce, non si possono conoscere gli altri, se non ci si ama, non si possono amare gli altri…”.
È vero che amando e capendo noi stessi possiamo voler bene e comprendere il prossimo? Perché il nemico giurato di ognuno è colui che vediamo riflesso allo specchio ogni mattina?
È una vecchia storia quella dello specchio che riflette un’immagine esterna che spesso non coincide con quella che abita dentro di noi. È per questo che si deve partire per questo viaggio di conoscenza di noi stessi, per poter accettare certe zone rifiutate e convertire il detestato in esaltato, il presunto difetto in magnifica virtù. Dalida si è lasciata abitare da molteplici donne, incarnandone gli aspetti più mutevoli, ogni canzone ha partorito nuovi figli lasciando tracce di sé. Ancora oggi ne respiriamo le melodie.
Per la star italo-francese era complicato accettare di invecchiare. Ma che cosa significa per un’artista il tempo che passa?
Il tempo passa e “nos vamos poniendo viejos”, cantava Mercedes Sosa. Per questo inseguiamo l’eterno, per poter lasciare tracce indelebili. Bisogna preoccuparsi più delle rughe dell’anima che non di quelle della pelle.
L’esistenza di Dalida è stata costellata da enormi risultati e da enormi dolori. Pare che il non essere diventata madre e la solitudine abbiano giocato un ruolo fondamentale all’interno della sua mente. A seguito dell’interruzione di gravidanza, avvenuta in segreto alla fine degli anni ’60 in Italia, Iolanda è rimasta sterile. L’essere madre è stato una costante nei suoi desideri, tanto che, nel 1968 e nel 1983, ha intonato, rispettivamente, Dan Dan Dan e Lucas, in cui parlava di come sarebbe stato bello avere un figliolo accanto a sé, strappandola alla solitudine.
La storia di Dalida, qualora avesse tenuto il neonato, sarebbe stata diversa? Qual è il meccanismo che scatta nella mente di un’artista, così amata e voluta da tutti, nel momento in cui è privata di un’opportunità che le appartiene per natura?
La vita è fatta di scelte e un figlio è per sempre. Chi ha un vero senso di responsabilità sa che si diventa ostaggi dei propri figli, prigionieri di un amore infinito. Ma chi vive l’arte come una missione sa che il tempo da dedicarle dovrà essere totale e senza limiti di attenzione, dedizione, studio e ricerca. A volte queste due missioni si rivelano inconciliabili, specie se sei una diva internazionale.
Come anche Lei espone nel corso di Avec le temps, Dalida, Iolanda Gigliotti ha lamentato più volte di essere stata tradita dai suoi uomini con Dalida. A suo giudizio, quali sono i motivi che spingono un’icona, lodata ovunque e amata dai fan incondizionatamente, a volere la propria morte?
Quando vedi morire le persone più care nel momento di massimo amore per loro ti senti privata di una parte di te e, forse, ti senti responsabile del non aver impedito in tempo quegli atti estremi, come se si potesse o si dovesse intervenire sulla salvezza dell’altro. Quando questo si ripete nel tempo, come una sorta di nemesi storica, si pensa erroneamente di dover interrompere la catena di un destino inquietante. È allora che Iolanda Cristina Gigliotti ha pensato di uccidere Dalida per riprendere se stessa, pur nella morte. Ma così, invece, l’ha resa immortale.
L’essere umano, nonostante si impegni in molteplici modi per evitare l’isolamento sulla Terra, come sostenuto in Pour ne pas vivre seul, patisce davvero la solitudine interiore. Dalida e Jacques Brel in Quand on n’a que l’amour esaltano il sentimento romantico come sale della vita, sottolineando che, se lo si ha, si possiede l’universo tra le mani. Qual è la sua concezione dell’amore?
L’amore è per me condivisione e supporto, senza nessuna competizione, ma solo una stretta alleanza. Si dovrebbe sempre gioire di quello che fa felice se stessi e chi ci è accanto. Sempre più spesso, invece, i propri desideri diventano prioritari e l’altro diventa un mezzo per esaudirli. Così s’interrompe lo scambio fecondo, dato dalle meravigliose diversità e unicità. Un mio amico psicanalista diceva che il rapporto più sano era su tre sedie: ognuno siede sulla propria, lasciando una vuota al centro per condividere. Penso sia un’immagine illuminante.
Ciao Amore, Ciao: due destini legati da una canzone. Nel nostro Paese si fa spesso riferimento a Dalida solamente nel commentare la tragica notte di Sanremo di 58 anni fa, di cui non ci rimane che una registrazione audio e qualche fotografia. Si è parlato abbastanza di teorie che smentiscono il suicidio di Luigi Tenco, definendolo un omicidio. Lei ha una sua tesi al riguardo?
Non sapremo mai la verità fino in fondo, ma l’unica cosa che mi preme dire è che abbiamo perso uno dei cantautori più promettenti di quel momento, una voce unica nel panorama musicale italiano. La macchina di Sanremo di fronte a quel tragico evento non si è fermata. The show must go on, cinicamente. E Dalida ne è uscita distrutta.
Tra gli ospiti che l’hanno accompagnata nel viaggio di Avec le temps, Dalida in più di due decenni, l’hanno vista esibirsi anche Orlando, fratello minore, manager e produttore di Dalida (che si occupa di mantenere imperitura la memoria della sorella) e Luigi, nipote adorato dell’icona. Che cosa le ha comunicato la famiglia Gigliotti alla fine della replica?
Mi hanno ringraziato per il rispetto con cui è stato fatto questo omaggio, senza imitazioni né snaturamenti. E, soprattutto, per l’ostinazione amorosa con cui proseguo il viaggio.
Invece gli ammiratori? Essendo Lei un’eccellenza dello spettacolo, ne ha una moltitudine. Qual è il suo rapporto con loro e che cosa le piace condividere?
Ho un rapporto di gratitudine. Mi piace pensare che sia un privilegio avere accanto persone che condividono i tuoi viaggi e ti seguono nel tempo, come degli amici.
Lei ora sta girando l’Italia con Chicchignola di Ettore Petrolini. Sabato 25 e domenica 26 gennaio è stata al Teatro Villa Lazzaroni di Roma con Monna Lisa Unplugged. Il 23 gennaio è stata al Teatro Puccini di Firenze proprio con Avec le temps, Dalida, show che riprenderà il 26 febbraio al Teatro Bibiena di Sant’Agata Bolognese.
Abbiamo dimenticato qualcosa? Quali sono i suoi progetti futuri?
Con l’Accademia di Belle Arti di Roma presentiamo un progetto su Frida Kahlo, Viva Frida!, a cura di Raffaele Golino, scritto da Pino Ammendola, con me in scena insieme ai maestri Stefano De Meo al piano e agli arrangiamenti e Pino Iodice alla chitarra. In scena il 17 e il 20 febbraio al Teatro Torlonia della Capitale.
Poi, sempre a Roma, riprenderò un monologo scritto da Ulderico Pesce sulla poetessa Amelia Rosselli, dal titolo Il folle volo – L’ultima notte di Amelia Rosselli al Teatro Villa Lazzaroni, con i musicisti Stefano De Meo e Pasquale Laino.
Ringraziamo infinitamente Maria Letizia Gorga per la generosità nel raccontare se stessa e Dalida, aiutandoci a realizzare un quadro che possa rappresentare buona parte della scala dei colori che hanno accompagnato l’esistenza della leggenda, facendo riferimento all’incredibile opera di Pino Ammendola alla sua strepitosa carriera.
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