Lautaro, la babysitter e la vita reale: il paradosso del 10 dell’Inter

Il caso che ha coinvolto Lautaro Martinez e la sua famiglia, condannati a risarcire la famiglia della propria babysitter deceduta, ha rispolverato la dicotomia vita privata-vita pubblica di un calciatore. Un paradosso che il 10 dell'Inter avrebbe potuto evitare

Carmine Ruggiero
4 Min di lettura

Nel corso di un’intervista rilasciata per parlare della sua trasmissione e dell’attuale Serie A, Antonella Biscardi – figlia del grande Aldo – ha dissotterrato una scomoda verità: “Oggi, i calciatori non esistono. Sono figurine, foto Instagram”. Il tutto per rimarcare l’inavvicinabilità di un campione dell’Inter, del Milan, della Juventus ma anche dell’Atalanta o del Sassuolo senza il consenso di agente, società, ufficio stampa e forse anche del proprio vicino di casa. Ironie a parte, tale condizione appare paradossale in un’epoca in cui si ha accesso a tutte le informazioni sugli atleti più amati, rendendo note anche vicende spiacevoli. Come quella capitata a Lautaro Martinez, capitano e numero 10 dell’Inter.

Lautaro e il licenziamento della babysitter, cosa è accaduto?

Non si parla di campo, ma di ciò che è successo al di fuori. Di un licenziamento in tronco recapitato alla propria babysitter dopo assenze prolungate sul posto di lavoro, dovute ad una malattia terminale di cui Lautaro e la sua famiglia erano a conoscenza. A far chiarezza, è intervenuta Augustina, la compagna dell’attaccante nerazzurro che ha rivelato come entrambi abbiano fatto tutto ciò che in loro potere per aiutare la ragazza e come i veri colpevoli del contenzioso siano stati i genitori della stessa babysitter. Rei, secondo Lautaro e famiglia, di voler lucrare alle spalle di una ragazza gravemente malata tirando in mezzo il suo lavoro.

Una vicenda che fa rabbrividire ma la cui narrazione si scontra con la sentenza del Tribunale di Milano, che ha condannato Lautaro a versare 15 mensilità alla famiglia della ragazza deceduta. Resta l’accusa, confermata, di licenziamento illegittimo e gli strascichi che essa comporta dal punto di vista non tanto legale, né economico per le tasche di un calciatore di Serie A. Ma di immagine per un tesserato di una società come l’Inter, campione del mondo con l’Argentina ed esempio per innumerevoli tifosi, grandi e piccoli.

La doppia dimensione

Riprendendo le parole di Antonella Biscardi, è ad oggi purtroppo semplice individuare una doppia dimensione nella vita di un calciatore. Quella pubblica, condita dalle gesta in campo e rinforzata da gol, esultanze, vittorie e sconfitte. Edulcorata agli occhi di chi guarda dallo sport più amato. Poi quella umana, quella che nasconde errori e fragilità. Quella che – seppur con le corrette intenzioni, ribadite da Lautaro stesso e Augustina – porta sul tavolo dell’opinione pubblica il seguente assunto: “Un calciatore di Serie A, categoria invidiata dal 99% degli italiani quindi già di per sé invisa, ha licenziato una babysitter sul punto di morte”.

Un paradosso attorno alla propria figura che Lautaro avrebbe di sicuro potuto evitare, visto l’iniziale tentativo da parte dei legali di risolvere bonariamente la faccenda. Ha vinto la questione di principio, la citata tensione creatasi con la famiglia della povera ragazza, la volontà di avere ragione. Il tutto sacrificabile eccome di fronte, in primis, ad una tragedia. Ed in seconda battuta al ruolo che si ha nella società di oggi: di eroe per tutti, ma di personaggio noto allo stesso tempo.

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