Sincronia tra i due non perfetta e finale in stile Festivalbar: perché storpiare un capolavoro di intimità tentando goffamente di trasformarlo in una canzoncina da “su le mani”?
Destinazione inferno, o – per essere buoni – purgatorio. Non funziona il duetto Grignani-Arisa. Eppure c’era grande attesa, soprattutto prima dell’inizio del Festival: non appena pubblicata la lista delle prove a due, ecco che la loro accoppiata è subito balzata agli occhi dei critici come una delle più interessanti – insieme a quella di Elisa e Giorgia – dal punto di vista interpretativo.
Gli ingredienti c’erano tutti
La voce rotta di Grignani, il suo vissuto. La delicatezza di Arisa e la sua spiccata sensibilità. In più, l’aura magica sprigionata dalla canzone: un brano fissato nell’intimo della “Generazione Sanremo” (35 anni in su) e intercettato come icona quasi decadente dalle nuove generazioni. Un mix quindi apparentemente perfetto, che poteva potenzialmente catturare due o tre generazioni, senza troppi problemi.
Leggi Anche
Ma la magia si è rotta
Niente di tutto questo. Sin dall’inizio dell’esibizione si è capito che i pianeti non si sarebbero allineati: Arisa ha perso tempo al momento del suo ingresso, incasellata in cima alle scale, distratta dal fatto di non poter scendere per entrare al meglio con la sua voce nella canzone. Tanto che lo stesso Grignani è salito per aiutarla a scendere. Subito difficoltà interpretative: a dimostrarlo, anche il fatto che la stessa Arisa per tutta la canzone ha guardato fisso Grignani (e pochissimo il pubblico) come se gli stesse fuggendo e lei volesse rincorrerlo, seguirlo con la voce e soprattutto con la mente. C’è stato un momento in cui lei sembrava volesse chiedergli: ma ce l’abbiamo il biglietto per ‘sto treno che va a paradiso città?
Il finale da Festivalbar: scendere, destinazione raggiunta
Poi il patatrac nel finale. Arrivano le ultime note e Grignani spinge per coinvolgere il pubblico. Tutti in piedi, mani a ritmo, il maestro Vessicchio (forse stanco di farsi i video su Instagram insieme a Fedez mentre fa colazione) che “spegne” piano piano i suoi musicanti, ed eccoci qua: Grignani e Arisa che intonano quel che resta di Destinazione Paradiso (sigh…) e il pubblico in piedi come se aspettasse il conto alla rovescia di capodanno. Tutto troppo Festivalbar (senza nulla togliere al Festivalbar, che evidentemente ha una connotazione diversa), troppo effetto juke box per un brano come Destinazione Paradiso, nato per entrarti nell’anima per restarci ad abitare. Senza battere troppo le mani. Signori, scendere, il treno è arrivato a destinazione: ma stavolta non è il paradiso.
© Riproduzione riservata