Il dottor Eduardo Lamberti Castronuovo analizza l’attuale status della sanità regionale condizionata pesantemente dalla burocrazia
Concetti quali crisi, emergenza sanitaria, inadeguatezze strutturali, fanno ormai parte del nostro linguaggio quotidiano. La triste familiarità che ci ha imposto la Pandemia spesso ne diluisce la portata storica, l’irreversibile centralità che hanno assunto e che manterranno a lungo. Purtuttavia, la quotidianità ci insegna che esse sono criticità tangibili che incidono sulla vita di ogni cittadino che chiede risposte efficaci, moderne, veloci. Considerando questi temi come prioritari e irreversibilmente centrali nelle strategie e nelle soluzioni che dovranno essere adottate a tutti i livelli. I decisori, però, sovente si rivelano poco lungimiranti, poco reattivi, poco preparati. E allora, se i “generali” latitano, è sempre bene cercare gli esempi migliori in trincea. Per ricordare ad ognuno di noi che c’è un’Italia che opera con competenza, anche se spesso viene data per scontata. E che il Sud e la Calabria, in questo come in molto altro, non sono secondi a nessuno.
Dottore Lamberti, come è nata la sua struttura sanitaria oggi punto d’eccellenza della Calabria?
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«Sono partito 42anni fa, con soli 160 mq a disposizione, oggi il mio centro ne ha circa 4.500 mq e i campi di applicazione spaziano dalla Radiologia alla Microbiologia, dalla Genetica Medica alla Biologia Molecolare. Ho iniziato a lavorare in ospedale dove sono rimasto un paio di anni poi, ho visto che sul territorio c’era una richiesta enorme di prestazioni alle quali non si dava una risposta e ho deciso di creare, pian piano, una struttura sanitaria che potesse soddisfare le esigenze della gente. Oggi, il mio Istituto (Istituto De Blasi ndr) è un validissimo centro».
Quando parla di medicina, Lei la divide in due tronconi: la sanità e la salute. Ce lo spiega?
«Questa divisione è il problema della medicina pubblica. La medicina è affidata ai medici, agli infermieri, a tutte le figure sanitarie e questa funziona sia nel pubblico che nel privato. La salute invece, è affidata ai burocrati che dovrebbero organizzare il tutto e se nel pubblico non funziona, nel privato sì. Il problema in Calabria è che molto spesso, la sanità pubblica è consegnata a medici che non hanno mai preso in mano un fonendoscopio, non sanno nemmeno cosa sia e trovano lo sbocco nella sanità solo perché qualcuno gli ha messo in mano questo potere che esercitano malissimo. I medici a Reggio Calabria sono bravissimi, abbiamo reparti di grandissimo livello, ma disorganizzati, tant’è che al Pronto Soccorso devi aspettare due, tre ore anche se hai l’infarto. Questo però, non è colpa da attribuire ai medici o agli infermieri, ma all’organizzazione. Perché, se c’è un’affluenza numericamente elevata di pazienti e mancano i dottori, è ovvio che non si possono impattare le emergenze. Bisogna organizzare bene la sanità».
Cosa bisogna fare immediatamente per la Calabria?
«Occorre rimettere a posto tutta la sanità regionale. E’ necessario mettere a capo un manager serio e creare una rete pubblica e privata integrata in modo che il paziente che ha bisogno della prestazione A sa dove andare e come andare perché la medicina è rapidità di risposta all’esigenza. Noi siamo una bellissima Ferrari pubblica e privata dentro un garage. La cosa più grave, è che i nostri medici occupano fuori posti di livello e non vogliono tornare qui perché trovano una totale disorganizzazione. La sanità calabrese è una vera torre di Babele. Inoltre, bisogna abbattere dei tabù: il primo che la medicina privata è di tipo delinquenziale, per alcuni siamo dei parassiti che creiamo solo danni invece, è l’esatto contrario. La sanità calabrese paga 350 milioni di euro a tutte le Regioni italiane perché molti ancora vanno fuori a curarsi ma anche qui abbiamo professionisti molto bravi. I fondi ci sono, basta bloccarli e non farli uscire».
Lei ha dimostrato che si può porre un argine all’emigrazione della salute; ma cosa ferma la sanità calabrese?
«Gli ostacoli burocratici che consentono a quegli uomini che non hanno nessuna coscienza e contezza di ciò che è realmente la sanità in questa Regione, di fare e disfare. La nemica numero uno della sanità si chiama burocrazia. Poi, ci sono strutture come la mia che dimostra che abbiamo in Calabria una sanità migliore di quella milanese. Mentre da noi ogni caso viene preso con quell’umanità e caparbietà tipica dei calabresi, a Milano per ragioni economiche, si considera tutto come una cosa di poco conto. I costi che applichiamo alle nostre prestazioni sono infinitamente più bassi di quelli fatti ad esempio a Milano e le strumentazioni che abbiamo, sono molto all’avanguardia rispetto a quelle che hanno fuori. Io sono l’esempio vivente perché mi sono salvato grazie ad uno strumento innovativo per le risonanze che abbiamo solo noi, unico e primo in Italia. E’ vero, abbiamo invertito l’emigrazione della salute, solo che il dramma è burocratico».
Lei è anche giornalista ed editore. Qual è il segreto della sua impresa?
«La libertà che per me, è la base della vita. Ho applicato le stesse regole alla sanità, alla politica, all’editoria. Sono nato libero e voglio che gli altri lo siano. Il lavoro del mio istituto è basato sulla libertà, sull’assoluta precisione e professionalità e anche la mia televisione nasce per lo stesso motivo. A Reggio e in Calabria si fa un giornalismo su ordinazione. I miei giornalisti sono tutti liberi di dire ciò che ritengono opportuno nell’ambito dell’assoluta verità. Mai marchette per nessuno».
Tra tutte le attività che svolge, quale predilige? Quale considera una priorità oggi?
«Cittadino calabrese e di Reggio Calabria, perché i veri eroi sono quelli che rimangono e non quelli che vanno via. E’ molto più difficile rimanere in questa città che andare via e solo chi fa tante cose, ne può fare altre. Ecco perché io faccio tutto. Indosso tante vesti ma sicuramente, la frase “sotto il vestito niente” a me non la si può dire».
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