Fra l’incudine di Trump e il martello di Putin, Giorgia Meloni si ritrova in poche settimane ad affrontare la prova della vita. È libera di scegliere, ma è obbligata a non sbagliare. Con lei, l’Europa tutta è nelle stesse condizioni. Non ha tutti i torti il ministro Tommaso Foti quando confessa al Foglio che il vertice di Parigi, con quel timbro di urgenza che gli ha dato Macron, rischia di mostrare l’Unione europea in tutta la sua debolezza. Una luce corrusca illumina oggi il Vecchio Continente, vecchio, smarrito e confuso, alle prese con l’incognito. Poche settimane di Trump alla Casa Bianca, e tutto è cambiato intorno a noi. Quello che c’era prima del 5 novembre 2024 ci appare così remoto da sembrare un’altra epoca storica. Trump ha voluto imprimere un’accelerazione così potente alla storia da trasmettere a tutti la sensazione di essere schiacciati, come quando un aereo decolla e ci sentiamo incollati alla poltrona.
Mario Draghi è intervenuto al Parlamento europeo con uno dei suoi discorsi potenti e scioccanti, per l’analisi affilata, per la lucidità con cui guarda il baratro dentro cui rischiano di finire 80 anni di democrazia e di libertà. L’ex premier lo ha guardato, come sempre non ha ceduto all’emotività e con la freddezza tipica di un condottiero ha indicato le difese per fronteggiare la tempesta in arrivo, e gli strumenti per rimetterci in connessione con il tempo che ci sfugge.
Debito comune, comune la difesa, comuni i programmi di re-industrializzazione, comune la lotta alle norme e ai regolamenti debordanti che hanno imbullonato l’Europa a terra e imprigionato le sue energie. La difesa europea non più per il futuro, ha detto Draghi: essa è per domani mattina.
La Nato rimane un acronimo che ha cullato la fantasia di chi ci ha creduto e alimentato le ossessioni di chi la contrastava. Ma tutti, sostenitori e avversari, provano oggi un’indicibile e inconfessabile nostalgia per una stagione in cui altri si occupavano di tenerci al riparo dalle minacce mentre noi, italiani ed europei, ci occupavamo in tutto relax di sbrigare le incombenze quotidiane. Lo zio Sam scudava tutto il mondo libero, con qualche inevitabile porcata qui e la (Vietnam, Cile, Argentina) contro la quale insorgevano le piazze europee, piene di sacra moralità resa possibile da quelli contro cui protestavano.
Tutto questo non c’è più. Oggi l’Europa assiste stordita alla guerra in Ucraina, alla sua conclusione e dunque alla sua spartizione fra il pirata pel di carota e il dittatore di Mosca. E noi europei siamo pregati di rimanere sugli spalti per assistere a una partita senza neanche il gusto di tifare. Come si può tifare Putin? E come dichiararsi supporter di Trump che vuole privarci della confort zone in cui almeno quattro generazioni di europei sono cresciuti, prima di smettere di moltiplicarci? Guardate e non toccate. E poi quella scelta di incontrarsi in territorio neutro, in Arabia Saudita, a Ryad, alla corte di Mohammed Bin Sulman (MBS).
È una corsa a perdifiato quella che Trump vuole imporre a quello che un tempo era chiamato Occidente. Vuole ridefinire i confini della geografia politica, non più in senso latitudinale ma in senso longitudinale, da Nord a Sud, dalla Groenlandia all’Argentina. Questi europei so choosey, viziati a spolpare le ricchezze altrui, è ora che se ne facciano una ragione, tirino su le maniche e sgobbino come meglio possono. Meloni lo ha capito. A Parigi ha espresso le sue riserve per le modalità inappropriate con cui Macron ha convocato un vertice largamente incompleto, privo com’era dei Paesi Baltici e della Svezia, cioè i più esposti alle eventuali, prossime incursioni di Putin. Meloni, però, ha afferrato il sentimento di questo tempo. Starà con l’Europa. Per convinzione, in parte. Per mancanza di alternative, sicuramente. Con la tempesta in arrivo è saggio rifugiarsi sotto il primo tetto disponibile che è anche il più vicino. Fuori da qui, si rischia di finire come i naufraghi della Medusa.
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