Strage di Bologna: Italia vittima e carnefice di sé stessa

La strage di Bologna resta ancora, dopo 42 anni, una matassa indistricabile di omertà e caos, nonostante le sentenze passate in giudicato e inchieste in corso

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2 agosto 1980, iniziano le vacanze, era il mese feriale per eccellenza. In una stazione di Bologna affollatissima, tra gente che doveva partire e rientrare e che aveva prenotato il suo meritato riposo dopo un anno di lavoro, stava per accadere il più grande eccidio di massa del nostro Paese. Alle 10:25 la quotidianità e i programmi per le vacanze vennero interrotti da un boato, una bomba, poi morti, feriti e il tempo si cristallizzò. Erano 23 chili di esplosivo quelli contenuti nella bomba che ha fatto tremare la città e raso al suolo mezza stazione. Era piazzata all’interno di una valigia, su un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell’ala ovest. L’onda d’urto raggiunse anche un treno lì vicino, l’Adria Express, distruggendo 30 metri di pensilina e il parcheggio davanti la stazione. Una bomba costruita appositamente per disseminare più morte possibile. Ecco qui che quella strage diventò, citando l’allora ex presidente Pertini: “L’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia”.

Strage di Bologna: l’arrivo dei soccorsi

Oltre 200 feriti e 85 morti, ecco l’arrivo dei soccorsi. Più che soccorsi era una bolgia di persone in divisa che correva da una parte all’altra. Pompieri, polizia, carabinieri, vigili urbani e persino l’esercito. Sul posto anche medici, infermieri e ambulanze. Tutti fanno tutto, persino gli autisti dell’autobus si sono dovuti improvvisare carri funebri. “Dovevo portare i corpi senza vita con il mio bus lontano dalla stazione. Erano le tre del mattino. L’ho fatto e basta” così il guidatore del mezzo pubblico Algide Melloni, allora trentunenne. Vige solo una regola: le ambulanze ai vivi gli altri mezzi di trasporto pubblico ai morti.

L’inizio della disinformazione sulla strage di Bologna: tra NAR e Brigate Rosse

Una delle prime letture ed interpretazioni sulla strage la troviamo sull’Unità, che in prima pagina il 3 agosto 1980 titola “una strage spaventosa”. Inizia il vortice del caos informativo. Prima l’attribuzione della strage ai NAR, i Nuclei Armati Rivoluzionari di estrema destra, poi alle Brigate Rosse. Entrambi i gruppi terroristici smentiscono. Ancora caos. Poi l’ipotesi della caldaia esplosa nel sotterraneo della stazione. Non regge. Il 28 agosto 1980 partono 28 ordini di cattura effettuati dalla Procura della Repubblica di Roma, ma nulla. Scagionati tutti i militanti di estrema destra, di Terza Posizione e del Movimento Rivoluzionario Popolare. Non si capisce chi possa essere coinvolto nella strage, chi è il mandante. Si brancola nel buio e tra le macerie.

Strage di Bologna, 13 gennaio 1981: la pista estera

13 gennaio 1981 arrivano nuove prove, e le autorità iniziano a seguire una nuova pista: quella estera. Le prove che sosterrebbero l’ipotesi sono una valigia contenente 8 lattine con il medesimo esplosivo usato nella strage di Bologna, un mitra MAB, un fucile automatico da caccia, due biglietti aerei Milano-Monaco e Milano-Parigi scovati in uno scompartimento di seconda classe del treno Espresso 514 Taranto-Milano. Forse c’entra Giuseppe Santovito, membro della P2, forse un escamotage per distrarre l’Italia e il mondo dalla precedente strage di Ustica e dal dittatore libico Mu’ammar Gheddafi.

L’omertà dello Stato italiano sulla strage di Bologna

Oggi, 2 agosto 2023, sono passati ben 42 anni ma resta un grande punto interrogativo su tutto ciò che riguarda la strage di Bologna. Gli unici responsabili della non chiarezza di questa vicenda sono i servizi segreti italiani, tra cui troviamo alcuni dei condannati.

Il 29 luglio 1985 vengono arrestati Pietro Musumeci, vicecapo del SISMI e responsabile della creazione di un dossier falso per sostenere la pista internazionale e Francesco Pazienza, anch’egli parte dei servizi segreti. Condannati rispettivamente a 9 anni e 8 anni e 6 mesi per associazione a delinquere; Giuseppe Belmonte, altro agente segreto, a 7 anni e 8 mesi. 14 marzo 1986: in appello le condanne scendono a 3 anni e 11 mesi per Musumeci, a 3 anni e 2 mesi per Pazienza, e a 3 anni per Belmonte; per tutti gli incriminati cade l’accusa di associazione a delinquere. Secondo i giudici della Corte d’appello di Roma non esisteva tanto una struttura parallela del SISMI, quanto una serie di attività con fini di lucro. Poi, arrivano i condannati di alcuni membri del gruppo dei NAR: Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Gilberto Cavallini, i primi due condannati nel 2014 a versare alla Presidenza oltre due miliardi di euro e l’ultimo a risarcire i parenti delle vittime. Tante condanne, tante vittime e ancora nessuna verità.

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