Dopo 11 giorni dalla prima conquista dei ribelli filo turchi, il regime di Basher al-Assad è crollato. La capitale della Siria, Damasco, così come molte altre parti del territorio siriano, sono ora nelle mani del gruppo Hayat Tahrir al-Sham, guidato da Abu Mohammed al-Jolani, che ha promesso “l’inizio di una nuova era al Paese“. Assad ha lasciato il Paese insieme alla sua famiglia e l’esercito governativo non sembra più essere un ostacolo ai piani del gruppo di jihadisti, che ora punto ad instaurare un nuovo governo nel Paese.
L’ex leader del regime siriano, assieme alla sua famiglia, è atterrato domenica in Russia. Lo confermano fonti del Cremlino, mettendo fine alle insinuazioni nate sul futuro di al-Assad, scomparso dai radar da ormai un paio di giorni. Il primo ministro, Mohammed Ghazi Jalali, ha già dichiarato di essere pronto a “tendere la mano” all’opposizione e di voler collaborare con qualunque nuovo leader venga scelto dal popolo.
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Lo stesso al-Jolani ha invitato le sue truppe a rimanere lontane dalle istituzioni del Paese, in attesa che queste vengano “ufficialmente consegnate” dal primo ministro, che per ora mantiene una sorta di potere politico. Il gruppo ha però preso il controllo delle prigioni presenti nella capitale, liberando i prigionieri che da anni sarebbero “ostaggio” del regime di Assad. Al-Jolani ha nominato come nuovo ministro a capo del governo di transizione, denominato anche “governo di salvezza siriano”, l’ingegnere Muhammad al-Bashir. Fedelissimo di al-Jolani, è parte del governo di opposizione siriana che da anni governa la città di Idlib e che dopo la guerra civile, è stato formato da HTS, nel 2017. La nomina di al-Bashir è stata decisa dopo un incontro tra al-Jolani, e il primo ministro uscente del regime Muhammad Al-Jalali.
Mark Rutte: “Russia e Iran responsabili delle sofferenze”
Nella giornata di ieri, il segretario generale della Nato, Mark Rutte si è espresso in merito alla conquista di Damasco da parte dei ribelli, osservando che la responsabilità delle sofferenze inflitti al popolo siriano dal regime di Bashar al Assad, siano condivise dalla Russia e dall’Iran. Infatti, Rutte ricorda come Mosca e Teheran siano stati i due principali sostenitori di Assad ma “hanno anche dimostrato di essere partner inaffidabili” in quanto avrebbero “abbandonato Assad quando ha smesso di risultare loro utile“.
Inoltre, Rutte ha commentato e descritto l’improvviso rovesciamento dell’ex sovrano siriano come “un momento di gioia ma anche di incertezza per il popolo siriano e per la regione“. Il segretario olandese ha tra l’altro sottolineato che la Nato vorrebbe “una transizione pacifica del potere e un processo politico inclusivo“. Nello specifico, l’alleanza occidentale “osserverà da vicino” la condotta dei leader ribelli durante la transizione, ha osservato Rutte, implicando che “devono sostenere lo stato di diritto, proteggere i civili e rispettare le minoranze religiose“.
Nell’ambito delle dinamiche siriane di questi ultimi giorni, Rutte si sarebbe anche confrontato con il Presidente della Turchia, Erdogan, affermando in un post su X, che “è stato bello” poterlo fare. “Speriamo in una transizione pacifica, – afferma il segretario generale Nato – nel rispetto dello Stato di diritto e nella tutela delle minoranze“.
Sono numerosi i video che riprendono la popolazione di Damasco festeggiare per la caduta del regime di al-Assad, addirittura saccheggiando la sua abitazione, alla ricerca di oggetti di valore. Migliaia di persone si sono invece riversate in strada, pronte a celebrare la fine di un’epoca e l’inizio di un mondo che può essere considerato nuovo. Mentre l’ex primo ministro continua ad avere il controllo politico sulla regione, si cerca di fare chiarezza su quale possa essere il futuro della Siria. Gli jihadisti temono che un vuoto di potere troppo lungo possa in qualche modo inficiare gli sforzi messi in atto finora, a causa delle divisioni presenti all’interno del Paese.
Turchia: “Saremo al fianco dei nostri fratelli siriani“
Il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha dichiarato oggi di auspicare che gli attori internazionali, tra cui le Nazioni Unite, aiutino la Siria a completare la sua transizione, verso la formazione di “un governo inclusivo“. La Turchia, nel corso dell’intero processo, è intenzionata a rimanere vicina ai “suoi fratelli siriani” che stanno quindi per affrontare una nuova pagina della loro storia.
Gli Usa e la paura dell’Isis: “Non permetteremo che si ristabilisca“
Intanto dagli Stati Uniti arrivano i primi messaggi di avvertimento e minaccia, nei riguardi della possibilità del rafforzamento di gruppi terroristici che potrebbero di fatto minacciare gli equilibri mondiali. Il presidente Usa, Joe Biden, sembra particolarmente preoccupato per le possibilità che la caduta del regime di al-Assad può rappresentare per l’Isis. “Siamo consapevoli del fatto che cercherà di approfittare di qualsiasi vuoto per ristabilire le proprie capacità e non lo permetteremo“, ha infatti dichiarato il titolare della Casa Bianca, sottolineando poi che sarebbero già stati compiuti attacchi verso 75 obiettivi dell’Isis.
Siria, le reazioni alla caduta di al-Assad
Tra i più soddisfatti per la fine dell’impero della famiglia al-Assad si contano gli Usa, come dimostrano le parole di congratulazioni espresse da Joe Biden, e Israele. Benjamin Netanyahu ha infatti dichiarato che parte del merito per le operazioni portate avanti in Siria è proprio da imputare allo Stato ebraico ed alla sua azione di indebolimento nei confronti di Iran ed Hezbollah.
Teheran ha invece accusato il colpo, anche se il leader Abbas Araghchi ha sostenuto che la perdita della Siria non è un indebolimento dell'”asse della resistenza” presente in Medio Oriente. “La Siria ritroverà la sua strada“, ha poi proseguito il leader iraniano, ricordando che in ogni caso dovrà essere il popolo siriano a decidere come plasmare il proprio futuro.
Tajani: “Uomini armati in residenza ambasciatore italiano“
Secondo quanto si apprende, sembrerebbe che un gruppo di miliziani sia entrato nella residenza dell’ambasciatore italiano per effettuare una sorta di perlustrazione, come reso noto dalla stessa Farnesina. Sembrerebbe che l’ambasciatore e il personale italiano non siano stati aggrediti e che ora si trovino in un luogo sicuro. Inoltre, si ipotizza che i miliziani stiano procedendo a perquisizioni anche nelle altre ambasciate e negli uffici delle Ong internazionali, con l’obiettivo forse di individuare dirigenti del regime in fuga.
“Hanno portato via solo 3 automobili e tutto è finito lì. Non sono stati toccati né l’ambasciatore né i carabinieri“, ha poi chiarito il ministro degli Esteri Antonio Tajani, rassicurando la popolazione e sostenendo che “la situazione è del tutto sotto controllo“. Il ministro ha poi evidenziato di essere in contatto costante con il ministro della Difesa Guido Crosetto e con il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
La situazione in Siria
Secondo quanto si apprende, i ribelli avrebbe assaltato e saccheggiato l’ambasciata di Teheran a Damasco. Dalle immagini diffuse sui social, sembrerebbe che gli jihadisti stiano strappando i manifesti di Qassem Soleimani e di Hassan Nasrallah, ex comandante di Hezbollah, oltre a danneggiare l’edificio dell’ambasciata. L’Idf (Forze di difesa israeliane) ha dichiarato di essere entrata nella zona cuscinetto del Golan per evitare che i ribelli siriani entrino nel Paese.
Si tratta della prima volta, dalla firma dell’Accordo di disimpegno del 1974 che pose fine alla guerra dello Yom Kippur, che le truppe israeliane mettono nuovamente piede sulla cosiddetta Linea Alpha. L’esercito, in una nota pubblicata oggi, ha dichiarato che “le truppe dell’Idf sono necessarie per la difesa del Paese, al fine di garantire la sicurezza delle comunità sulle alture del Golan e dei cittadini di Israele“.
La nuova era di al-Jolani
Mentre le tensioni in Siria continuavano a crescere, si è svolta a Doha, in Qatar, una riunione tra i ministri degli Esteri di Russia Iran e Turchia. Il vertice ha però solo confermato il destino della Siria, visto l’improvviso ritirarsi della Russia, che ha quindi lasciato il regime di al-Assad a combattere i ribelli senza supporti esterni. Senza l’importante apporto russo, quindi, il governo siriano ha solo potuto cedere sotto i colpi degli jihadisti sostenuti dalla Turchia. L’esercito ha abbandonato il Paese, dopo l’ultimo tentativo di resistenza nella città di Homs, snodo cruciale dei commerci, permettendo di fatto ai militanti del gruppo guidato da al-Jolani di prendere il controllo del Paese.
Ieri, ha poi avuto luogo una seconda riunione tra Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania, a cui hanno però preso parte anche alcuni rappresentanti dell’Ue e l’inviato speciale Onu per la Siria, Geir Pedersen. Il vertice avrebbe confermato la volontà dei presenti di avallare una transizione pacifica nel Paese, per evitare ulteriori spargimenti di sangue in un Paese che per molto tempo è stato martoriato dalla guerra. Si ipotizza, quindi, che la settimana prossima a Ginevra possano sedersi ad uno stesso tavolo gli esponenti del governo di Assad, ma non direttamente collusi con il presidente, e quelli del gruppo armato Hayat Tahrir ash Sham.
Quest’ultimo è considerato dall’Occidente una vera e propria organizzazione terroristica, per cui si ipotizza che a Ginevra possano essere invitato esponenti non di spicco, per evitare imbarazzi. La decisione, però, sarebbe stata presa prima che il presidente eletto degli Usa, Donald Trump, dichiarasse che il suo Paese non dovrebbe lasciarsi coinvolgere nel conflitto in Siria.
La marcia di 10 giorni verso Damasco
“L’obiettivo della rivoluzione è il rovesciamento di questo regime“, lo ha spiegato il leader dell’offensiva in Siria, Abu Muhammad al-Jolani, ex capo di al Qaeda ed ora uno dei volti più rappresentativi del colpo di Stato che si sta verificando nello Stato siriano. I ribelli hanno continuato la loro avanzata nel Paese per tutta la giornata di ieri e dopo la presa di Aleppo e Hama è stato poi il turno delle città di Homs e Daraa, con le rispettive Regioni, che finiscono ufficialmente sotto il controllo dei jihadisti filoturchi.
I ribelli hanno quindi raggiunto le porte di Damasco, presso il sobborgo di Jaramana, dove hanno abbattuto la statua di Hafiz al-Assad, presidente della Siria fino al 2000 e padre dell’attuale presidente siriano Bashar. La statua decapitata e trascinata per le strade di Daraa si trovava a dieci chilometri dal palazzo presidenziale di Assad.
Inoltre, stando a quanto riportato dalla televisione pubblica israeliana Kan, citando alti funzionari israeliani, sembrerebbe che Israele abbia rilevato una “una diserzione di massa dei soldati siriani” e “si prepara al crollo completo del regime” del presidente siriano Assad. Sopraggiunge così la preoccupazione dei funzionari che definiscono la situazione in Siria “una svolta drammatica che potrebbe cambiare la realtà in Medio Oriente“.
A margine del Forum a Doha, erano anche iniziati i colloqui tra i tre ministri degli Esteri, Abbas Araghchi per l’Iran, Serghei Lavrov per la Russia e Hakan Fidan per la Turchia, riunendosi nel cosiddetto “Formato Astana“, definito, come ricorda l’agenzia iraniana Irna, da una riunione del 2017 nella capitale del Kazakistan, che fu convocata per garantire il futuro equilibrio politico-strategico in Siria, che i recenti sviluppi sembrano sovvertire. Inoltre, il ministro iraniano Araghchi, ha espresso poi il suo sostegno al governo di Assad e ha accusato Israele e Stati Uniti di appoggiare i ribelli jihadisti che stanno imperversando, minacciando Damasco.
Trump: “La Siria è un disastro“
Il presidente-eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, a margine del suo incontro con Macron a Parigi, ha dichiarato che dal suo punto di vista gli Usa dovrebbero rimanere esterni al conflitto in Siria. “Non dovremmo farci coinvolgere“, ha infatti dichiarato il leader, sottolineando che al momento “la situazione è un disastro” e che gli Stati Uniti non dovrebbero avere nulla a che farci. “Questa non è la nostra lotta, lasciamo che la situazione si sviluppi“, ha sostenuto poi il prossimo leader di Washington.
L’obiettivo della rivoluzione
L’obiettivo, ora è chiaro, è raggiungere la capitale, Damasco, per conquistarla e giungere alla capitolazione finale del regime di Basher al-Assad. Sembrerebbe che i ribelli siano ormai giunti alle porte della città, come conferma la conquista della città di Quneitra nel Golan, al confine con Israele, e l’avvistamento delle truppe a circa 20 chilometri dalla capitale. Parte della popolazione siriana sta tentando di lasciare il Paese e il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha sottolineato come questa situazione possa provocare “una crisi migratoria catastrofica” e diversi Paesi hanno già iniziato ad invitare i loro concittadini a lasciare la Siria. Gli ultimi sono stati la Russia e gli Stati Uniti, fortemente preoccupati dell’escalation che si sta verificando nel Paese.
Il ministro degli Esteri siriano, Hakan Fida, si è rivolto agli Usa esortandoli a “non ripetere gli errori del passato” e ricordando loro che il momento che sta vivendo la vita richiede a tutti gli attori coinvolti di svolgere la loro parte, cercando di collaborare per dare vita ad un dialogo tra Damasco e l’opposizione. In questo senso, quindi, il ministro ha chiesto in particolare a Usa e Turchia di scegliere di non interferire per evitare che gruppi come Isis e Ypg possano trarre vantaggio dalla situazione.
Tajani riflette su iniziative politiche e diplomatiche
Gli ultimi aggiornamenti dalla Siria avrebbero convinto il ministro degli Esteri Antonio Tajani a convocare per le 11 di oggi una riunione alla Farnesina con l’obiettivo di discutere i possibili interventi nel territorio della politica internazionale. Presenti all’incontro gli Ambasciatori a Damasco, Doha, Tel Aviv, Amman, Beirut, Teheran, Baghdad, Abu Dhabi, Cairo, Riad, Ankara, Mosca e Santa Sede. Secondo quanto si apprende, il vertice tratterà il tema dell’evacuazione dei religiosi e degli italiani dalla Siria, oltre alle possibili iniziative politiche e diplomatiche in corso, finalizzate a raggiungere il più velocemente possibile la cessazione delle operazioni militari.
Siria, le posizioni degli alleati
Le truppe siriane di opposizione hanno raggiunto nella notte la città di Daraa, simbolica per il popolo siriano, in quanto uno dei primi centri interessati dalle rivolte del 2011 contro il regime di Bashar al-Assad. In questo luogo, infatti, le proteste furono brutalmente represse e questi scontri segnarono l’inizio della guerra civile nel Paese. Secondo quanto dichiarato dalle autorità siriane, sembrerebbe che i ribelli abbiano preso il controllo del 90% della regione circostante Daraa e che le forze del regime abbiano invece abbandonato la zona.
Analizzando il percorso compiuto dalle truppe ribelli sembra che queste siano intenzionate a raggiungere Damasco, con il fine di dividere la regione e comportare quindi scontri e caos in Siria. I ribelli filo-turchi avrebbero il benestare del leader di Ankara, Recep Tayyip Erdogan, mentre il regime siriano è sostenuto, almeno a parole, dall’Iran e dalla Russia, anche se quest’ultima per il momento non sembra particolarmente interessata al conflitto.
Intanto, in Iraq si sono incontrati i ministri degli Esteri della Siria, dell’Iran e dell’Iraq per cercare di trovare un fronte comune che permetta di fermare l’avanzata delle truppe dei filoturchi. Erdogan, tentando di giustificare il suo ruolo centrale nel conflitto, ha chiarito di aver sempre teso la mano ad Al-Assad nel tentativo di decidere insieme il futuro della Siria, ma di non aver mai “ricevuto una risposta positiva“.
Siria, la situazione nel Paese
Le violenze armate hanno avuto inizio nel Paese da circa una settimana e gli sfollati avrebbero già raggiunto quota 400mila. La situazione nel Paese si preannuncia critica, con il continuo avanzare dei filoturchi e con il ritiro delle truppe governative da punti strategici del Paese. Le fazioni armate che si sono distribuite nella regione di Daraa avrebbero preso il controllo del valico frontaliera con la Giordania, mentre il Libano, preoccupato da una possibile invasione, ha chiuso tutti i passaggi di confine, lasciando aperto solamente quello con l’autostrada Beirut-Damasco.
Proseguono gli scontri tra le fazioni filo-turche e i miliziani curdi lungo la valle dell’Eufrate, dove le forze governative stanno smobilitando tutta la riva occidentale del fiume, così da lasciare che i curdi possano prendere la città di Dayr az Zor e l’aeroporto militare.
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