Claudio Martelli sulla Separazione delle carriere: “Falcone ne era convinto”

"Dovrebbe esistere una qualche forma di leale cooperazione tra potere esecutivo e potere giudiziario", sostiene Martelli in audizione alla Commissione Affari Costituzionali sul testo del Ministro della Giustizia

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La Commissione Affari Costituzionali del Senato al lavoro sul Ddl di Separazione delle Carriere e di Riforma del Csm prosegue le audizioni sul testo del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, già approvato dalla Camera. Tra gli auditi intervenuti figura Claudio Martelli, ex parlamentare e già Ministro di Grazia e Giustizia dal 1991 al 1993.

Martelli condivide ampiamente la Riforma del Guardasigilli, che è stata “una costante convinzione“, proprio alla luce della sua esperienza come ministro, uomo parlamentare, uomo di governo, oltre che come “osservatore del dibattito pubblico”. La sua audizione, piuttosto, si è basata immaginando l’opposto dell’attuale situazione, ovvero, “che se i giudici fossero reclutati tutti tra l’ordine degli avvocati, dalla magistratura si leverebbe qualche perplessità e qualche obiezione“.

L’ex Ministro di Grazia e Giustizia spiega che la Costituzione prevederebbe la possibilità di reclutare i giudici della Cassazione anche al di fuori dell’ordine giudiziario. Una dinamica a cui Martelli già in passato aveva provato a dare concretezza, “ma le obiezioni furono infinite come spesso accade quando si cerca di toccare il sistema giudiziario“.

La riforma costituzionale presentata dal Governo sulla Separazione delle Carriere propone di separare le carriere dei magistrati requirenti da quelli giudicanti, mettendo così sullo stesso piano accusa e difesa di fronte ad un giudice terzo imparziale, con l’obiettivo di dare garanzie al cittadino. Di conseguenza, il nuovo Csm, ossia l’organo di autogoverno, si sdoppierebbe in Consiglio superiore della magistratura giudicante e requirente.

Pur condividendo la riforma, Martelli dubita che servirà a garantire la responsabilità del pubblico ministero, in quanto “esiste – puntualizza l’ex parlamentare – anche qualche rischio che questa riforma configuri una totale anomia del pm con i rischi che comporterebbe“. Stando a quanto sostenuto da Martelli, non si tratterebbe di “imbrigliare il pm, sottoposto al controllo dell’Esecutivo“, anche se si tratta di una realtà parzialmente esistente in alcune Repubbliche democratiche, ma “tutto ciò non fa scandalo“. Ad ogni modo, per evitare che si vada in contro a scontri ripetuti, paralisi e contestazioni infinite, secondo Martelli dovrebbe in ogni caso esistere “una qualche forma di leale cooperazione tra potere esecutivo e potere giudiziario“.

Il già Ministro di Grazia e Giustizia spiega che il pm, in quanto guida della polizia giudiziaria, non vede stabilito “quale rapporto debba avere con il Governo” che è responsabile delle forze dell’ordine, e se, tanto meno, debba esserci una totale o assoluta indipendenza o, come sostenuto da Martelli, “una leale cooperazione“.

Una cooperazione che, a detta dell’ex europarlamentare che a riguardo cita Benedetto Croce, non sarebbe un “caciocavallo appeso“. Ovvero, non si tratterebbe di una idea astratta bensì “sostanziale” e per questo, “richiede una disponibilità anche da parte del pm a considerare i risvolti e le conseguenze anche sociali della sua azione e delle sue eventuali azioni penali“.

In tal senso, l’ex Vicepresidente del Consiglio, riporta come esempio gli scritti di Giovanni Falcone, del quale “non c’è ombra di dubbio su quali fossero le convinzioni“. Infatti, il magistrato siciliano considera la separazione delle carriere come “una conseguenza logica del nuovo processo penale di carattere accusatorio e della responsabilità del pm, che dirige effettivamente le indagini disponendo della polizia giudiziaria“. Una definizione che, secondo Claudio Martelli, configurerebbe un ruolo che è al limite tra il potere giudiziario e l’esecutivo. Quindi, a maggior ragione in qualche modo “si deve definire al collaborazione, non subordinazione, ma la collaborazione sì“.

Proprio a sostegno delle sue considerazioni Martelli ricorda come Falcone “non aveva alcuno scandalo di collaborazione con me, sennò non avrebbe mai accettato di collaborare con il Ministro della Giustizia, del resto al ministero sono dirigenti più di cento magistrati“. E quindi, “non è già una forma di collaborazione se i magistrati sono incaricati a ricoprire i ruoli apicali del ministero, cioè del Governo?

Quindi, sì alla Riforma ma “attenzione alle conseguenze“. Resterebbe, difatti, il problema in merito alle modalità con cui il pubblico ministero può muoversi nello svolgere il suo lavoro, se “nella più totale e assoluta autonomia e indipendenza” o meno. Stando a quanto spiegato da Martelli, la Costituzione italiana distingueva tra l’autonomia e l’indipendenza dei giudici, mentre affermava che la legge ordinaria si sarebbe occupata dell’autonomia dei pm. Quindi, già nella Carta costituzionale verrebbe delineata una distinzione in ordine all’indipendenza e all’autonomia del pubblico ministero. “Non può vivere il diritto in una specie di separazione – rimarca Martelli – attenzione a questa separatezza, perché è un po’ in conflitto con la democrazia o può creare conflitti con un sistema democratico“.

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