Separazione carriere, l’avv. Morcella chiarisce i punti della riforma Nordio |INTERVISTA

L'avvocato penalista Manlio Morcella ha chiarito alcuni dei punti più complessi della riforma della separazione delle carriere, che prevede la divisione dei percorsi dei magistrati giudicanti da quelli inquirenti e la creazione di due Consigli superiori di magistratura ad hoc per ciascuno dei percorsi. Tale riforma prevede una modifica della Costituzione italiana. Dopo un primo via libera della Camera, il testo deve essere sottoposto ad altre tre votazioni, come previsto dalla Carta. Non mancano gli scontri tra Anm e governo. Da un lato l'esecutivo, ovviamente favorevole al cambio proposto, dall'altro i magistrati, che ritengono la riforma superflua e non efficiente. Proprio su questo punto si concentra l'analisi del penalista, che risale fino alla formulazione del principio attuale chiarendone i punti deboli e quelli di forza

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Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, poco prima del voto sulla mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni nei suoi confronti, ha voluto ribadire che gran parte delle critiche a lui rivolte non sono altro che “un attacco strumentale per evitare la riforma sulla separazione delle carriere“. Parole dure che si inseriscono in un dibattito che ormai prosegue da mesi e che ha visto nascere una contrapposizione di intenti tra il potere esecutivo e quello giudiziario.

L’avv. Manlio Morcella, penalista, ha cercato di chiarire ai microfoni de Il Difforme quale possa essere l’origine di questo contrasto, sottolineando che “il tema dell’avversione all’ordine giudiziario è pretestuoso“, in quanto la tematica odierna non troverebbe “una giustifica di natura oggettiva“. Secondo il legale, l’origine della questione è individuabile nel principio che vede la Costituzione italiana uniformata sull’esistenza, nel momento in cui è stata redatta, di un regime processualistico che era detto inquisitorio.

Sulla base di quel principio non si poneva la necessità di distinguere la posizione del magistrato inquirente dal magistrato giudicante“, ha spiegato Morcella riferendosi al fulcro della riforma Nordio, chiarendo che invece con l’attuale rito accusatorio “lo schema si sovverte“. Ad oggi, infatti, esistono due parti, ovvero l’accusa, identificata nel Pubblico ministero, e la difesa. A queste si aggiunge poi la figura del giudice terzo che risolve il giudizio e quindi emette la sentenza.

Va da sé che, dal momento in cui ha ingresso nell’ordinamento il rito accusatorio, si pone il problema della dovuta divaricazione tra il soggetto magistrato che indaga e il soggetto magistrato che decide il processo“, ha chiarito Morcella, evidenziando che “non certo per caso“, il giudice deve essere connotato dal requisito della terzietà. “Conseguentemente, nel momento in cui il giudice che istruisce la fase delle investigazioni e quello che decide appartengono allo stesso ordinamento, è chiaro che viene ad essere leso, anche dal punto di vista teorico, proprio il principio della terzietà del giudicante“.

Sulla base di queste premesse le ipotesi tramite cui procedere sono due: “O si regredisce e si torna al rito inquisitorio, oppure è gioco forza arrivare alla necessità che vi sia un pubblico ministero che faccia parte della categoria dei magistrati inquirenti, diversa dalla categoria dei magistrati giudicanti“.

Su questa seconda impostazione, si ripete, il governo ha trovato la contrarietà dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) che, come ha spiegato Manlio Morcella, ha opposto che questa diversificazione di ruoli tra giudicante e requirente già oggi esiste perché la normativa impone limiti piuttosto rigorosi per poter trasmigrare dalla categoria degli inquirenti a quella dei giudicanti e viceversa. “Con la cosiddetta separazione delle funzioni – aggiunge il penalista- si ritiene di risolvere il problema di cui stiamo trattando”.

La visione dell’avvocatura è invece diversa, in quanto “si asserisce che la mera distinzione di funzioni non è equivalente ad una effettiva divaricazione di ruoli propri dell’inquirente e del magistrato giudicante“. Morcella ha quindi concluso chiarendo che, senza entrare nelle polemiche, il tema di fondo riguarda il ruolo del legislatore che nel 1988 ha promulgato il “nuovo Codice: “Se si fosse reso conto del contrasto che sarebbe emerso tra le regole del rito accusatorio e la disciplina della Carta costituzionale improntata sul rito inquisitorio, adesso non si discuterebbe di nulla. È infatti innegabile che l’ingresso del processo penale connotato dal rito accusatorio avrebbe dovuto imporre la modifica della Carta costituzionale che era ingegnata su un altro modello processualistico“.

Il ministro, nelle sue dichiarazioni alla Camera, ha anche affrontato il tema del sovraffollamento carcerario, sottolineando il “numero notevole di suicidi” tenendo però a puntualizzare che, negli scorsi esecutivi, questa criticità si presentava in termini analoghi. L’avvocato penalista ha riconosciuto che il Guardasigilli è “espressione di una coalizione governativa che ha proposto nel proprio programma elettorale la necessità che la pena comminata fosse stata effettivamente espiata e, ligio a questa impostazione di carattere molto ruvido, Nordio va avanti“, non cedendo a richieste su provvedimenti di clemenza, compresi indulto o amnistia.

Io non condivido questa posizione perché, se anche potesse essere condivisa in astratto, e non lo è comunque perché, sempre secondo principi costituzionali, ad un reo deve essere assicurata la dignità, e pure in ipotesi di sua detenzione – ha spiegato il penalista – Ed è innegabile che al momento nelle carceri questa esigenza non è soddisfatta, proprio in ragione del sovraffollamento”.

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