Corte Ue: a rischio il piano dell’Italia per i migranti in Albania

I migranti a rischio sono coloro che provengono da paesi d'origine che non sono considerati del tutto sicuri in certe aree o per alcune categorie di persone

Redazione
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È a rischio il piano italiano che predispone di portare in Albania i migranti intercettati nel Mediterraneo per sottoporli a procedure accelerate in frontiera per l’analisi delle domande d’asilo. E a metterlo a rischio sarebbe una sentenza della Corte Ue.

La legge con cui il Parlamento ha definito il piano prevede che nei centri albanesi sotto giurisdizione italiana siano condotti solo cittadini provenienti da Paesi d’origine designati come sicuri. Per analizzare le domande di protezione internazionale l’indicazione dell’Ue agli Stati membri è di fare una lista dei Paesi sicuri. Il nocciolo della questione sta proprio qui, perché la maggior parte dei Paesi che il governo italiano considera “sicuri” non lo sono per alcune aree o categorie di persone. E secondo la Corte europea un Paese è sicuro per tutti o per nessuno. Quindi ha chiarito come si deve interpretare l’articolo 37 della direttiva europea 2013/32.

Corte Ue
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La lista dei paesi sicuri per l’Italia

L’apertura dei centri per l’accoglienza migranti in Albania è stata rinviata più volte, ma il governo ha assicurato che saranno pronti entro ottobre. E sarà il centro di Gjader, che inizialmente potrà ospitare circa 800 persone, a essere dedicato alla procedura accelerata per l’esame delle domande d’asilo.

Secondo la legge il trattenimento nel centro deve essere convalidato entro 48 ore da un giudice, come già avviene in Italia. Le procedure prevedono tempi più ridotti e minori garanzie per il richiedente rispetto a quelle ordinarie, e a queste potranno accedere solo uomini adulti originari dai Paesi “sicuri”. La direttiva europea 32/2013 esplicita che “un paese è considerato paese di origine sicuro se si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

La lista dei Paesi sicuri per l’Italia include, oltre ad Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia, e Tunisia, anche Bangladesh, Sri Lanka, Camerun ed Egitto, Colombia e Perù. In questa lista ci sono però anche Paesi che non sono sicuri per alcune aree o categorie di persone.

La Tunisia, per esempio, non è sicura per la “Comunità LGBTQI+”; l’Egitto“per gli oppositori politici, i dissidenti, gli attivisti e i difensori dei diritti umani o per coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione di cui all’articolo 8, comma 1, lettera e) del Decreto Legislativo 19 novembre 2007, n. 251″; il Bangladesh per la “comunità LGBTQI+, vittime di violenza di genere, incluse le mutilazioni genitali femminili, minoranze etniche e religiose, persone accusate di crimini di natura politica e ai condannati a morte”.

La sentenza della Corte Ue

Escludere aree o categorie di persone era una prassi permessa dalla direttiva europea 85 del 2005, abrogata e rimpiazzata dall’attuale direttiva 32 del 2013. La Corte di giustizia Ue ha chiarito come la direttiva va interpretata nella sentenza del caso di un cittadino moldavo che aveva chiesto protezione internazionale in Repubblica Ceca. Le autorità ceche avevano respinto la richiesta del cittadino moldavo perché la Moldavia era stata designata paese di origine sicuro, tranne che per la Transnistria.

E così i giudici di Lussemburgo hanno chiarito che il diritto dell’Unione non permette che uno Stato membro designi un Paese terzo come paese di origine sicuro soltanto per una parte del suo territorio. Quindi “è necessario che le condizioni materiali di tale designazione (dei Paesi di origine sicuri, ndr) siano soddisfatte per l’intero territorio del paese terzo interessato”. Lo stesso vale per l’esclusione di categorie di persone, che era permessa nel 2005 e abrogata nel 2013 dallo stesso articolo 37.

Inoltre il giudice nazionale che deve verificare la legittimità di un atto amministrativo sulla protezione internazionale ha l’obbligo di rilevare d’ufficio una violazione delle norme del diritto dell’Unione relative alla designazione di Paesi di origine sicuri. I giudici competenti, che nel caso dell’Albania saranno quelli del Tribunale di Roma, dovranno applicare la direttiva europea nel modo in cui la Corte ha stabilito.

Quindi se la Questura chiede la convalida del trattenimento di un cittadino tunisino, egiziano o di un altro paese che non è sicuro per una parte dei suoi cittadini, per l’esame accelerato della sua domanda, il giudice italiano dovrà negarla. E se l’Italia deciderà lo stesso di portarli nei centri albanesi, probabilmente dovrà poi portarli in Italia dove le loro domande verranno esaminate con procedura ordinaria.

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