Riarmo e Ucraina: Schlein strappa a metà, Meloni attende e in Italia crescono confusione e incertezze

La politica estera si dimostra il punto debole delle istituzioni italiane, che si frammentano sotto il peso di scelte cruciali. Se il centrodestra non trova la quadra sul sostegno all'Ucraina, il Pd si frattura davanti alla scelta del riarmo europeo. In un contesto così composito, la prima vittima è la sicurezza della popolazione, sempre più confusa e intimorita dalla possibilità di un eventuale conflitto

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Il 42,2% degli italiani teme l’inizio della Terza Guerra Mondiale. Lo conferma il sondaggio di Euromedia Research, presentato il 13 marzo nel corso della trasmissione Porta a Porta su Rai1. Un dettaglio fondamentale, che sposta l’attenzione sulle conseguenze che la comunicazione europea e italiana sta avendo sulla popolazione del nostro Paese, bombardata da notizie allarmistiche e purtroppo confusionarie sulle posizioni dell’Italia e dell’Ue sul tema bellico.

Proprio la confusione sembra essere lo snodo cruciale di questo periodo, caratterizzato, come ormai sembra chiaro, da costanti e impreviste evoluzioni, che lasciano le istituzioni di fronte a decisioni da prendere con velocità e precisione. Così, mentre l’Unione europea si riorganizza, l’Italia arranca. I partiti italiani rischiano di affogare in un mare composto da ideologie diverse e soprattutto da una smodata voglia di rivalsa.

Il punto di rottura è giunto lo scorso 11 marzo, nel corso della votazione al Parlamento europeo su due risoluzioni chiave. Da un lato quella sul sostegno all’Ucraina, che ha visto i tre principali partiti di maggioranza votare ognuno per una posizione diversa, e dall’altro quella sul riarmo europeo, che ha provocato una netta e non trascurabile spaccatura all’interno del Partito democratico. Nel primo caso la votazione ha riguardato la rivendicazione da parte dell’Ue del sostegno militare e politico alla causa ucraina, nel secondo i partiti europei sono stati chiamati a decidere sul piano proposto da Ursula Von der Leyen, riguardante nuovi investimenti sulla difesa comune europea e sul riarmo del Paesi membri.

Le posizioni dei partiti italiani su sostegno all’Ucraina e difesa europea

La data a cui guardare è quella del prossimo 20 marzo, quando avrà inizio il prossimo vertice europeo. Il governo italiano deve prendere una decisione per consentire al Presidente del Consiglio di giungere al summit con una posizione netta e condivisa. Un miraggio, al momento, viste le posizioni diversissime assunte dai partiti di governo. Al Parlamento europeo, sul sostegno all’Ucraina, FI ha votato a favore, la Lega ha scelto la posizione contraria e FdI si è attestata nel mezzo, preferendo l’astensione. La seconda risoluzione, quella sul riarmo, ha invece visto la Lega staccarsi dagli alleati per votare contro gli investimenti in una difesa Ue.

Dallo scorso 11 marzo, però, la situazione è già radicalmente cambiata sia per l’esito dei colloqui di Gedda, in cui l’Ucraina ha accettato la tregua di 30 giorni proposta dagli Usa, sia per la posizione scettica assunta dalla Russia, che potrebbe non accettare la richiesta di cessate il fuoco. Almeno uno dei tre partiti, quindi, potrebbe cambiare posizione. FdI ha scelto l’astensione per evitare di infastidire il presidente Usa, Donald Trump, con cui Meloni ha faticosamente costruito degli ottimi rapporti. Il niet di Mosca, però, è giunto come un terremoto, che rischia di cambiare tutte le carte in tavola.

Più complessa la posizione del Pd. I democratici si sono spaccati sulla risoluzione riguardante il piano di riarmo dell’Ue. Undici europarlamentari si sono astenuti, seguendo la linea di Elly Schlein, i restanti dieci hanno invece votato a favore, insieme a FdI e FI. Una frattura che avrebbe spinto alcuni volti del partito a ipotizzare l’apertura di un congresso, a soli due anni dall’elezione della segretaria. La stessa Schlein ha confermato la necessità di un “chiarimento a livello politico“, sostenendo però che i modi e i luoghi in cui questo potrebbe avvenire devono ancora essere discussi.

Con queste stesse posizioni, i partiti si avvicinano al vertice europeo, consapevoli che bisognerà trovare un punto di accordo affinché il Parlamento voti le risoluzioni di Giorgia Meloni sui temi da portare a Bruxelles. “Troveremo una soluzione“, ha dichiarato convinto Matteo Salvini, a poche ore dalla presunta discussione nata tra Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti proprio sulla posizione della Lega in politica estera. Il controvertice organizzato dal Carroccio per discutere gli stessi temi presenti sul tavolo del premier, potrebbero aver infastidito Meloni, che avrebbe avuto, secondo diverse fonti, un dibattito piuttosto acceso con il titolare del Mef.

Una possibilità smentita sia da Palazzo Chigi che dal Ministero dell’Economia, ma in qualche modo rafforzata dalle dichiarazioni del Presidente del Senato, Ignazio La Russa: “Sarebbe giusto controllare i toni al nostri interno e non creare una rottura capace di indebolire l’Italia e anche l’Europa“. Il nodo che Meloni non riesce a sciogliere riguarda la posizione ormai ultra-pacifista assunta da Salvini, che rifiuta l’idea di investire in armi e difese e soprattutto l’invio di soldati italiani in Ucraina. I voti del suo partito e le sue dichiarazioni pubbliche mettono in difficoltà il premier, costretta a prendere decisioni ragionate anche in vista del continuo mutare dello scenario geopolitico.

Lo strappo a metà di Elly Schlein

Incredibilmente, una situazione piuttosto simile, anche se gestita diversamente, riguarda la segretaria del Pd. Elly Schlein si trova a capo di una coalizione inesistente e di un partito che si sgretola davanti al suo punto debole: la politica estera. L’ala riformista ha deciso di non seguire l’ex astro nascente del Pd nella sua astensione, ma di allinearsi con la posizione del gruppo europeo di S&D. Schlein ha giustificato la decisione chiarendo di essere favorevole ad un rafforzamento della difesa Ue, ma tramite la costruzione di una difesa comune e non con il riarmo dei singoli Paesi membri.

Una teoria che sembrerebbe un avvicinamento alle posizioni pacifiste del M5S di Giuseppe Conte, che ha infatti accolto la seppur piccola apertura. “Schlein ha preso una posizione coraggiosa dicendo no al piano di riarmo, credo vada appoggiata“, ha sostenuto, dicendosi poi dispiaciuto che la decisione della leader dem si sia fermata ad un’astensione e non sia arrivata al voto contrario. Con la sua scelta, quindi, la segretaria del Pd non è riuscita né ad accontentare l’ala più lontana dalla sua linea politica, né il partito che le è sempre più necessario per la creazione di una coalizione unitaria.

Uno strappo a metà, che ha avuto il merito di aprire la discussione su un possibile congresso, che sarebbe necessario a Schlein solo per rafforzare la sua figura, vista l’assenza per il momento di un avversario forte che possa rappresentare un’alternativa. Le due leader italiane, quindi, si trovano “assediate” da due partiti che dovrebbero essere loro alleati e che invece sfruttano il momento di immobilismo e riflessione per conquistare il sostegno degli italiani, in parte terrorizzati dalla possibilità che il ReArm Eu possa veramente riaprire le porte dell’Europa alla guerra.

Mentre il 20 marzo si avvicina, sembra scontata la necessità da parte della maggioranza di trovare una soluzione unitaria che possa rafforzare la posizione dell’Italia e rassicurare la popolazione sul ruolo che il Paese rivestirà in questo contesto di incertezza. I tre partiti di maggioranza, quindi, dovranno trovare una sintesi e soprattutto un compromesso che permetta al premier di agire per il bene del Paese. Uno scenario che si è riproposto già più volte in passato e che anche oggi spinge a chiedersi: chi cederà per primo al compromesso?

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