“Con immutabile commozione e profondo rispetto, ricordiamo uno dei giorni più drammatici della storia della nostra Repubblica“, con queste parole il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ricorda il 47esimo anniversario del rapimento di Aldo Moro, avvenuto il 16 marzo 1978 in via Fani. In quell’occasione persero la vita cinque uomini, tutti appartenenti alla scorta del presidente della Democrazia cristiana: Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.
Il ministro dell’Interno ne ricorda i nomi, definendoli “cinque eroi silenziosi“, troppo poco citati in relazione al tragico evento che scosse quel periodo. “Quell’attacco criminale non fu solo un colpo allo Stato, ma un’offensiva contro i valori più profondi della democrazia e della convivenza civile“, ha continuato il ministro, ricordando come oggi la memoria di quanto accaduto è necessaria a spingere l’Italia a continuare a rafforzare questi valori e l’impegno alla sicurezza di tutti i cittadini.
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Il ricordo di quel tragico giorno ha spinto la politica bipartisan ad esprimersi, per coltivare l’omaggio “alle vite, al loro coraggio e al loro impegno e riaffermare i valori della democrazia“, come dichiarato dal presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana. “Via Fani resta una ferita indelebile e un monito per ogni generazione: la libertà e la democrazia non sono mai conquiste definitive, vanno difese ogni giorno, con fermezza e unità“, ha scritto sui suoi social la ministra per le Riforme istituzionali, Maria Elisabetta Casellati, unendosi al coro di cordoglio della politica italiana.
“Rinnovare oggi il ricordo di quell’attentato significa onorare la memoria di uomini coraggiosi ma anche riaffermare il valore della libertà che sconfisse terrorismo e paura“, ha invece sostenuto il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ricordando la morte dei cinque uomini della scorta di Moro avvenuta “in una delle pagine più buie e dolorose della nostra storia“.
Il vicepresidente della commissione Difesa della Camera e deputato del Pd, Piero Fassino, ha invece voluto sottolineare la necessità di non dimenticare mai “la dolorosa lotta per la difesa della democrazia” e il bisogno costante di “rendere onore ad Aldo Moro e alle tante vittime innocenti cadute per mano di chi voleva distruggere la nostra libertà“. Sempre dal Pd, è giunto il messaggio della vicepresidente della Camera, Anna Ascani, che ha espresso la vicinanza del partito alle vittime della “crudeltà terrorista” e ai loro famigliari.
La senatrice di Forza Italia e vice presidente del Senato, Licia Ronzulli, ha dedicato all’occasione odierna un lungo messaggio, che ha ripercorso le tappe di quel tragico giorno di 47 anni fa, sottolineando come questi eventi e quelli che sono seguiti abbiano “rinnovato in Italia un profondo senso di unità“, che ha spinto alla difesa delle istituzioni democratiche contro il terrorismo e la “furia ideologica brigadista“. La senatrice ha quindi ricordato tutti coloro che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere questo obiettivo, ringraziando poi “tutti coloro che sono sul campo, in Italia e all’estero, per combattere il terrorismo che ancora oggi è una minaccia viva e costante“.
Il rapimento di Aldo Moro: cosa accadde il 16 marzo 1978
Il 16 marzo 1978 il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, fu rapito dalle Brigate Rosse. Poco prima delle 9 del mattino il presidente si trovava su una Fiat Blu insieme a due componenti della sua scorta, mentre dietro questo primo veicolo si trovava un’Alfetta bianca con a bordo i restanti membri della sua scorta. L’agguato delle Br arrivo su via Fani, quando l’auto con a bordo il politico andò incontro ad una Fiat 128 che gli aveva tagliato la strada.
In poco tempo il nucleo armato riuscì ad uccidere i membri della scorta di Moro e a catturare il presidente della Dc. Il gruppo terroristico rivendicò l’attentato, definito “attacco al cuore dello Stato“. Il rapimento di Moro durò per 55 giorni, ovvero fino a quando il 9 maggio venne ritrovato il corpo senza vita del presidente all’interno di un’auto parcheggiata in Via Caetani, a Roma.
Moro venne trattenuto in quella che è stata poi definita “la prigione del popolo“, ovvero l’appartamento di proprietà di Anna Laura Braghetti, in via Camillo Montalcini 8, a Roma. Dal giorno del rapimento al 9 maggio, i brigadisti rilasciarono nove comunicati, all’interno dei quali vennero spiegate le motivazioni del sequestro e venne intavolata una trattativa con lo Stato. Moro invece inviò 86 lettere a diversi destinatari, tra cui gli esponenti più importanti del suo partito, la sua famiglia e il Pontefice Paolo VI. Non tutte le missive arrivarono a destinazione, visto che alcune vennero ritrovate nel covo di via Monte Nevoso.
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