Perché votare Fitto alla Commissione europea è un buon affare per il Pd

Socialisti e liberali di Renew alzano gli scudi e minacciano di non votare la Commissione se von der Leyen assegna un ruolo di peso al candidato di Giorgia Meloni. La motivazione: se Ecr non ha votato le linee politiche presentate dalla presidente come potrà Raffaele Fitto farsene interprete ed esecutore? Le cose sono più complicate e il Pd ha interesse a votare Fitto, facendosi nei fatti garante del governo italiano in Europa. Schlein saprà gettare il cuore oltre l’ostacolo delle contrapposizioni?

Jean-François Paul de Gondi
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Il precedente c’è e riguarda il voto favorevole dato dai conservatori di Giorgia Meloni alla nomina di Paolo Gentiloni commissario agli Affari economici. Un atto di responsabilità nazionale ma, più realisticamente, il tentativo di accreditarsi presso l’establishment europeo. Sarebbe altrettanto logico, cinque anni dopo, vedere i parlamentari europei del Pd votare a favore di Raffaele Fitto commissario europeo e, più difficilmente, come vice presidente esecutivo di von der Leyen.

Non c’è da stupirsi per l’alzata di scudi arrivata oggi, martedì 10 settembre, dal gruppo dei socialisti e, in modo più sfumato, dai liberali di Renew Europe. I socialisti minacciano di non votare i commissari se la presidente von der Leyen accetta di conferire deleghe importanti al candidato italiano. Si tratta, con ogni evidenza, di una posizione in larga parte pretestuosa anche ha un suo fondamento logico. L’obiezione di fondo riguarda il voto contrario espresso il 18 luglio dal gruppo Ecr, guidato da Giorgia Meloni, alla nomina di von der Leyen.

Con la nomina, infatti, quel voto ha bocciato il programma quinquennale e le linee stragiche della presidente. Qualcuno si chiede come possa Fitto, ministro di Meloni, farsi interprete ed esecutore delle linee politiche bocciate dal suo gruppo? C’è un’evidente incoerenza fra il voto di ieri e la proposta di oggi. Si tratta però di un’incoerenza figlia più del timore ideologico dei socialisti, preoccupati di veder annacquate le linee programmatiche della Commissione, ma destinata a sparire sul piano operativo.

È vero che Raffaele Fitto, pedigree famigliare democristianissimo, è un ministro di un governo sovranista, espressione di un gruppo politico che non ha votato per von der Leyen. Tutto giusto, tutto vero. Però chi si oppone alla sua nomina pensa di nascondersi dietro un dito per cambiare le carte. Una volta eletto, infatti, Fitto non è il rappresentante del governo Meloni alla Commissione, ma diventa automaticamente un commissario per statuto obbligato a occuparsi degli interessi complessivi dell’Unione e non del proprio o di un altro governo.

Questo è il punto da cui nessuno, sostenitori e avversari di Fitto, può fuggire. Se c’è un problema di coerenza politica esso riguarda la presidente Meloni e, di rimbalzo, la presidente von der Leyen. Ma il voto per Raffaele Fitto non è un voto sulle premesse della sua nomina o sulle conseguenze che da essa scaturiscono. Votando contro, i socialisti commettono lo stesso errore compiuto da Giorgia Meloni il 18 luglio: attribuire un significato ideologico a una nomina “istituzionale” il cui titolare, una volta eletto, risponderà unicamente alla presidente della Commissione non al gruppo politico che lo ha indicato o a quelli che lo hanno votato.

Per queste ragioni appaiono infondati i timori espressi dai liberali di Renew Europe sul fatto che Fitto si faccia portavoce della premier Giorgia Meloni e delle istanze sovraniste. “I Trattati affermano che i Commissari devono essere completamente indipendenti e non chiedere né accettare istruzioni da alcun governo. Che i Commissari dovrebbero dimostrare un impegno europeo. Chiederemo loro di confermare di credere fermamente nell’ulteriore integrazione dell’Ue come progetto politico”, si legge nella dichiarazione programmatica dei liberali messa a punto a Ostenda.

“Chiederemo loro di non nazionalizzare mai la politica europea, ma di europeizzare invece le questioni nazionali ogni volta che parlano al pubblico del loro Paese d’origine”. Ben detto e ben fatto, ma è una dichiarazione sul fatto che l’acqua calda scotta. Né Fitto né altri commissari possono avere il potere e gli strumenti per nazionalizzare la politica europea. Diverso, invece, è capire se Fitto avrà la forza e la capacità di europeizzare i problemi nazionali dell’Italia.

Sarebbe molto utile e proficuo, per gli interessi del partito e dell’Italia, se il Pd votasse a favore di Fitto. Solo per questo motivo, è avendo votato per la riconferma di Ursula von der Leyen, si farebbe garante dell’Italia presso l’Unione. Senza trascurare il guadagno di credibilità che ne ricaverebbe sul piano nazionale.

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