Elly Schlein e il declino del Pd  

Massimo Colonna
4 Min di lettura

Il Partito Democratico sceglie la nuova segretaria ma, reduce dalla lunga stagione in cui ha incarnato il modello del partito-Stato, oggi non può permettersi di perdere la sua componente riformista. Se non vuole continuare a essere il partito della Ztl 

Elly Schlein ha attribuito la sua vittoria al fatto di essere ecologista, femminista, radicale: una dichiarazione identitaria che sposta l’asse del Pd sul fronte dei diritti individuali avverando così in modo compiuto la profezia del filosofo Augusto Del Noce, quella secondo cui gli eredi del Pci, tramontata l’ideologia marxista, avrebbero dato vita a un partito radicale di massa.

il difforme augusto del noce de mita
A destra il filosofo Del Noce che stringe la mano a Ciriaco De Mita

A dire il vero il Pd – nato per unire la tradizione politica post-comunista a quella cattolico-democratica – su quella china si era già messo da tempo, ponendo in cima alle sue battaglie politiche diritti civili e immigrazione, nella convinzione di rappresentare sempre e comunque la parte migliore del Paese, come dimostrano l’accanimento perdente sulla illiberalissima legge Zan e il mantra buonista dell’accoglienza indiscriminata. Non solo: la forza erede della sinistra di classe che voleva affossare la borghesia ne è progressivamente diventata un suo riferimento politico, tanto che ormai viene identificata come “il partito della Ztl” che ha perso ogni contatto sia con le periferie che con gli stessi ex fortilizi rossi dove votano gli operai.

Il partito e la sua definitiva mutazione 

Le primarie di domenica hanno dunque segnato la definitiva mutazione del Pd, con l’esito beffardo di una consultazione che ha ribaltato il verdetto degli iscritti: un’opa ostile, risultata vincente grazie al sostanzioso apporto delle truppe cammellate grilline, all’insegna del trasformismo più spregiudicato. Nell’ascesa di Elly Schlein ci sono molti tratti di utopismo post-sessantottino, è la fantasia dell’Occupy Pd giunta inopinatamente al potere all’insegna di parole d’ordine che ripudiano in modo inequivocabile la vocazione maggioritaria veltroniana per ridurre l’orizzonte politico ai diritti civili, ai temi bio-etici, alla droga libera, al riconoscimento delle coppie gay, all’utero in affitto, alla modificazione transgenica, all’agenda Lgbt+, al multiculturalismo. Se sia un balzo nel futuro o un salto nel vuoto lo diranno già le prossime settimane, quando la nuova segretaria dovrà definire gli assetti interni del partito, e i capicorrente che l’hanno appoggiata le presenteranno garbatamente (per ora) il conto. L’opposizione durissima annunciata contro il governo Meloni non può certamente reggersi solo sul movimentismo massimalista del “tanto peggio, tanto meglio”, inseguendo il collaudato schema dei Cinque Stelle di Conte, perché il Pd reduce dalla lunga stagione in cui ha incarnato il modello del partito-Stato non può permettersi di perdere la sua componente riformista, come invece sembra auspicare la ex sardina Santori, ovvero il prototipo dell’insostenibile leggerezza dell’essere promosso a suo consigliere dalla leader: “Per un Fioroni che se ne va, cento nuovi iscritti”. Auguri.

© Riproduzione riservata

Condividi questo Articolo