Ore 10.25, stazione di Bologna: 42 anni fa la strage che cambiò l’Italia

Sara Rossi
8 Min di lettura

Le indagini, i depistaggi e le testimonianze di chi ha vissuto quei momenti ancora avvolti nella nebbia di un’omertà che non invecchia mai

Sono passati 42 anni dalla strage di Bologna, uno degli attentati più grandi per numero di vittime (85 le persone uccise e oltre 200 quelle ferite) negli anni di piombo e il canto del cigno della cosiddetta “strategia della tensione”. In occasione della ricorrenza, “Il Difforme” propone una ricostruzione degli eventi.

Cronistoria di una strage

2 agosto 1980, ore 10.25: la sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna è affollata di viaggiatori e turisti. È appena iniziato il mese feriale per eccellenza e sono moltissime le persone che partono o tornano dalle vacanze. D’improvviso un lampo e un boato fermano il tempo, i destini di persone innocenti e la storia di un intero Paese. Sconquassata già dai fatti di piazza Fontana e dal generale clima di apprensivo nervosismo del periodo storico, l’Italia si trova a fare i conti con quella che l’allora presidente Pertini definì: «L’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia».

Una bomba a tempo, posizionata in una valigia su un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell’ala ovest, esplode, sovrastando il vociare spensierato con un rumore assordante. L’intento dietro la preparazione, che richiede un totale di 23 kg di esplosivo (specificamente 5 kg di tritolo e di “Compound B” miscelati a 18 kg di nitroglicerina a uso civile) è quello di causare un danno quanto maggiore possibile: non solo infatti crolla la stessa ala ovest dell’edificio, ma l’onda d’urto investe un treno Adria Express con tratta Andria-Basilea in sosta sul primo binario e distrugge 30 metri di pensilina e il parcheggio antistante la parte di stazione interessata.

L’arrivo dei soccorsi

In pochi minuti arrivano decine di mezzi dei vigili del fuoco, della polizia, dei carabinieri, dei vigili urbani e dell’esercito. Anche camici bianchi e ambulanze sono sul posto, ma non c’è tempo per suddividere i compiti: ciò che conta è che le vittime vengano allontanate. Un autobus della linea 37, la vettura 4030, si improvvisa carro funebre per portare le salme; alla guida l’imolese Algide Melloni, allora 31enne: «Mi chiesero di portare via i cadaveri con il bus. Dal mattino alle tre di notte, con i lenzuoli bianchi appesi ai finestrini». Le ambulanze vengono lasciate ai vivi e medici e infermieri rientrano in servizio in tutti gli ospedali.

Oltre 200 feriti e 85 morti: emblematica la vicenda della 24enne Maria Fresu, i cui resti vennero ritrovati solo il 29 dicembre dello stesso anno, restituzione di un corpo che probabilmente si trovava tanto vicino all’ordigno da venire disintegrato.

Le prime ipotesi e la disinformazione

3 agosto 1980: “Una strage spaventosa” titola “l’Unità”. È una delle prime letture che sostiene l’idea di una matrice neofascista dell’attentato, basandosi sulle rivendicazioni da subito effettuate da parte dei NAR, i Nuclei Armati Rivoluzionari di estrema destra. Dall’organizzazione parte una telefonata da una sede fiorentina del servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI); un’ulteriore attribuzione arriva poi dalle Brigate Rosse.

Entrambe vengono smentite da membri di entrambi i gruppi terroristici, contribuendo a generare una destabilizzante confusione. La natura dolosa della vicenda, e la conseguente ipotesi del terrorismo nero, sostituiscono l’iniziale posizione ufficiale del governo di uno scoppio fortuito, da attribuirsi all’esplosione di una caldaia nel sotterraneo della stazione.

28 agosto 1980: la Procura della Repubblica di Roma emette 28 ordini di cattura nei confronti di militanti di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari, di Terza Posizione e del Movimento Rivoluzionario Popolare, tutti scagionati.

13 gennaio 1981: scoperta in uno scompartimento di seconda classe del treno Espresso 514 Taranto-Milano una valigia contenente 8 lattine con lo stesso esplosivo usato in occasione della strage di Bologna, un mitra MAB, un fucile automatico da caccia, due biglietti aerei Milano-Monaco e Milano-Parigi. È la prova che accredita la pista estera, caldeggiata da un gruppo del SISMI con a capo Giuseppe Santovito, membro della P2, e che include in questo intricato puzzle l’ipotesi che l’attentato possa essere un “diversivo” per distrarre dalla precedente strage di Ustica e il dittatore libico Mu’ammar Gheddafi.

Una Bologna che sa stare in piedi e l’omertà di Stato

Sono passati 42 anni dalla strage di Bologna e a questa matassa non è ancora stato trovato un modo che possa sbrogliarla. Inequivocabile la responsabilità dei nostri servizi segreti, cui appartengono alcuni dei condannati.

Il 29 luglio 1985 Pietro Musumeci, vicecapo del SISMI e autore di un dossier fasullo per avvalorare la pista internazionale, e Francesco Pazienza, anch’egli parte dei servizi segreti, vengono condannati rispettivamente a 9 anni e 8 anni e 6 mesi per associazione a delinquere; Giuseppe Belmonte, un altro agente segreto, a 7 e 8 mesi. Il 14 marzo 1986: in appello le condanne scendono a 3 anni e 11 mesi per Musumeci, a 3 anni e 2 mesi per Pazienza, e a 3 anni per Belmonte; per tutti gli imputati cade l’accusa di associazione a delinquere: secondo i giudici della Corte d’appello di Roma non esisteva tanto una struttura parallela del SISMI, quanto una serie di attività con fini di lucro.

Accertate le responsabilità dei membri del NAR Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Gilberto Cavallini, i primi due condannati solo nel 2014 a versare alla Presidenza di oltre due miliardi di euro e l’ultimo a risarcire gli affetti delle vittime.

Tesi e interpretazioni si affastellano, volti più o meno noti della storia del nostro Paese si confondono in una storia da cui l’Italia esce vittima e carnefice di sé stessa.

Bolognesi: «L’omertà è ancora attuale»

«Tante persone a cui si chiede cosa facessero il 2 agosto 1980 hanno tanti ricordi da raccontare; gran parte dei nostri servizi segreti, interrogati nel processo, rispondevano che, essendo passati più di 40 anni, non ricordavano più».

A parlare è Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime delle strage. «Quando parliamo dei servizi segreti deviati e delle schegge impazzite è un modo come un altro per limitare la responsabilità dei politici. Parliamo ancora di momenti attuali, assetti di potere che ancora oggi vanno mantenuti».

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