Il Tribunale di Bologna si è trovato di fronte ad un presunto contrasto tra la legislazione italiana e quella europea in materia di Paesi sicuri. Secondo i giudici bolognesi, che si sono trovati a dover decidere sulla protezione per un cittadino del Bangladesh sul territorio italiano, non sarebbe chiaro se al momento sia necessario applicare quanto previsto dal decreto legge del 21 ottobre 2024 o ciò che è contenuto nella normativa comunitaria. Infatti, secondo il decreto legge il Bangladesh sarebbe una Nazione da considerare sicura, mentre per le norme dell’Ue non lo sarebbe.
I giudici hanno quindi rimandato il quesito alla Corte europea di Giustizia, per comprendere principalmente se il primato europeo imponga che in caso di contrasto tra norme debba prevalere quella europea. Nel caso in cui la Corte Ue dovesse dare una risposta affermativa, allora il governo italiano si troverebbe di nuovo a dover far fronte ad un problema che pensava di aver risolto lo scorso 21 ottobre. Il decreto legge sui Paesi sicuri è infatti nato per velocizzare le pratiche di messa in funzione dei due centri per migranti a Schengjin e Gjiader in Albania.
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Lo scorso 18 ottobre il Tribunale di Roma aveva predisposto che i primi 12 migranti ad aver messo piede nei centri dovessero essere al più presto portati in Italia, in quanto provenienti da Paesi non ritenuti sicuri dalla legislazione europea. I centri albanesi, infatti, possono ospitare solo determinati tipi di migranti, adulti, non vulnerabili e provenienti per l’appunto da Paesi che sono adattai all’eventuale rimpatrio. L’Italia dunque si è trovata di fronte ad un problema che avrebbe potuto ritardare di diversi mesi la funzionalità dei centri e onde evitarlo ha deciso di creare un decreto ad hoc.
Le differenze tra la normativa italiana e quella europea
Lo scorso 21 ottobre, quindi, il Consiglio dei ministri ha varato un decreto legge contenente la lista dei 19 Paesi che l’Italia considera sicuri, in risposta alla sentenza della Corte europea di Giustizia del 4 ottobre, che avrebbe invece dichiarato le caratteristiche necessarie ad un Paese per essere considerato sicuro per i suoi cittadini. Nello specifico, il decreto avrebbe dovuto rispondere al cortocircuito creato dalla legge Ue, che al momento considera una Nazione sicura solamente se lo è in ogni sua parte e per tutti i suoi cittadini.
L’Italia, invece, vorrebbe una velocizzazione dell’applicazione del Patto di migrazione e asilo che entrerà in vigore nell’Ue solo nel 2026, che chiarisce diversi dubbi riguardati la definizione di Paese sicuro. Secondo questo Patto, infatti, una Nazione sarebbe sicura anche se non lo è in ogni sua parte. Il decreto legge italiano quindi metterebbe già in atto ciò che l’Unione avrebbe votato ma non ancora applicato. Il governo Meloni avrebbe quindi raggiunto il suo obiettivo, riuscendo anche ad inserire nella lista il Bangladesh e l’Egitto, ovvero i Paesi da cui provengono i dodici migranti rispediti in Italia.
Tale lista, poi, sarà aggiornata ciclicamente per controllare che la situazione nei diversi Stati non si modifichi e così da avere un registro costantemente aggiornato su cui prendere una decisione. In questo momento però qual è la corretta legislazione a cui appellarsi? Sarebbe questa la domanda che si sono posti i giudici di Bologna.
Il dubbio dei giudici bolognesi
I giudici del Tribunale di Bologna, rinviando alla Corte europea il dubbio sul contrasto tra norma italiana e norma Ue, starebbero anche mettendo in discussione la deliberazione del Consiglio dei ministri sulla definizione di Paese sicuro. Secondo i magistrati, infatti, sarebbe contestabile il principio per cui una Nazione può essere considerata sicura anche minoranze di territorio o di popolazione non lo sono. Affinché la questione sia maggiormente comprensibile, i giudici avrebbero portato l’esempio della Germania nazista.
Se ad oggi la Germania fosse ancora governata dal nazismo, allora potremmo dire che essa sia un Paese sicuro per la maggior parte della sua popolazione, ad esclusione di ebrei, omosessuali, oppositori politici e rom. Allo stesso modo, il Bangladesh è un Paese che al momento non potrebbe essere considerato sicuro per coloro che appartengono alla comunità Lgbtqi+, per le vittime di violenza di genere, per le minoranze etniche e religiose e per gli sfollati climatici.
In sostanza, come è possibile decidere un Paese sicuro sulla base di queste caratteristiche se il processo di protezione internazionale si rivolge principalmente a minoranze? I giudici chiariscono, quindi, che il decreto legge del 21 ottobre avrebbe “un atto politico, determinato da superiori esigenze di governo del fenomeno migratorio e di difesa dei confini, prescindendo dalle informazioni e dai giudizi espressi dai competenti uffici ministeriali in ordine alle condizioni di sicurezza del Paese designato“.
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