Un vero tour de force, affrontato da Giorgia Meloni solo grazie alla sua determinazione e alla giovane età. Attraversare l’Atlantico per atterrare in Florida, a West Palm Beach, cenare con Trump e affrontare senza troppi giri di parole il caso Sala, qualche scatto per le photo-opportunity e risalire in aereo per tornare a Roma e atterrare a Ciampino alle 5:30 di domenica 5 gennaio. Tanta urgenza, e tanta perentorietà nel colloquio con Trump, si spiegano soltanto con la fretta di chiudere il caso di Cecilia Sala, la giornalista fermata e detenuta in condizioni di privazione nel carcere iraniano di Evin, a Teheran.
Non è dato sapere se all’origine del viaggio-lampo di Giorgia Meloni ci siano notizie preoccupanti sulle condizioni di Sala o, più semplicemente, il desiderio della premier di accelerare il negoziato con l’Iran per la sua liberazione. Quello che è certo, invece, è la complicazione della vicenda a causa del passaggio dei poteri a Washington. Joe Biden sarà a Roma fra il 9 e il 12 gennaio in visita di commiato, mentre Trump entrerà nella pienezza dell’incarico il prossimo 20 gennaio. È evidente, perciò, che per avere il sostegno dell’America sul comportamento che l’autorità giudiziaria deve assumere sull’iraniano Abedini, arrestato a Milano, è indispensabile che Biden e Trump abbiano lo stesso idem sentire così da accelerare il negoziato con Teheran senza generare equivoci o comportamenti contraddittori.
Leggi Anche
Senza girarci troppo intorno, il punto è semplice: Teheran chiede la scarcerazione dell’ingegnere arrestato dall’Interpol a Milano, su mandato di cattura internazionale, con l’accusa di terrorismo. Abedini, con la doppia cittadinanza svizzero-iraniana, residente in Svizzera, avrebbe acquistato alta tecnologia da imprese americane, aggirando così l’embargo imposto all’Iran, per la fabbricazione dei droni forniti da Teheran agli Houti per lanciarli contro Israele, e alla Russia per l’aggressione all’Ucraina.
Con simili capi d’accusa sulla testa, è evidente che si chiede agli Stati Uniti una disponibilità diplomatica eccezionale. È vero che la dottrina di non trattare con i terroristi ha sempre conosciuto eccezioni, anche dagli Stati Uniti. Non è dato sapere quali argomenti Giorgia Meloni abbia portato a sostegno della richiesta del negoziato. Si sa che il ministro della Giustizia Carlo Nordio potrebbe, attraverso il pm, trasformare in arresti domiciliari la detenzione di Abedini, custodito nel carcere di Opera. Si tratta di capire se questo passaggio può essere apprezzato a Teheran e favorire quindi la liberazione di Sala, trasformando la sua carcerazione in arresti domiciliari da scontare presso l’ambasciata d’Italia in Iran.
La trattativa si è presentata complessa fin dal primo giorno. Se sono autentiche le informazioni del NYT, Meloni avrebbe usato toni “aggressivi” con Trump, certo non scortesi, ma decisamente asseverativi come accade fra alleati uniti da stima reciproca. La presenza alla cena – non si sa se anche al colloquio – del futuro Segretario di Stato Rubio, del prossimo ambasciatore a Roma, Fertitta, e del Segretario al Tesoro, Bessent, segnala il rilievo che Trump ha voluto dare al colloquio con Meloni. Quanto il tutto potrà tradursi in una disponibilità illimitata sul caso Sala è prematuro dire.
Ancora pochi giorni e Meloni potrà parlarne con Joe Biden, a Roma. A questo punto, però, è importante capire se Biden e Trump avranno modo di concordare una linea comune. Biden ha dato ripetute prove di responsabilità e prudenza, Trump dovrà darne a sua volta quando, trovato un accordo, lo rispetterà senza nascondersi dietro il suo predecessore se non sarà apprezzato dall’opinione pubblica. Da notare, infine, l’assenza di Elon Musk a Mar-a-Lago. Questa circostanza potrebbe avvalorare le indiscrezioni che da qualche giorno rimbalzano fra i circoli politici di Washington su importanti divaricazioni fra i due sulla linea di politica estera.
© Riproduzione riservata