Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha avuto oggi un colloquio telefonico con il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu. La tensione in Medio Oriente continua a crescere, con la volontà di Hamas di non voler partecipare ai negoziati previsti a Doha per il 15 agosto e con la possibilità di un’offensiva di Iran eh Hezbollah contro lo Stato ebraico, in risposta all’uccisione del capo di Hamas Ismail Haniyeh.
Il pericolo di un’escalation nella Regione continua a preoccupare l’Occidente e in questi giorni sono numerosi i colloqui telefonici tra i leader di Israele e i capi di Stato e governo di Europa e Stati Uniti. L’obiettivo è proprio quello di evitare che, nelle zone in cui continua ad imperversare la guerra, la situazione possa peggiorare e per questo si lavora nell’ottica di un negoziato di pace che porti fine alle morti e le devastazioni che ormai da 10 mesi si verificano nei territori della Palestina.
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Palazzo Chigi ha fatto sapere che Meloni ha deciso di ribadire il convinto sostegno dell’Italia alla mediazione guidata da Stati Uniti, Egitto e Qatar per la risoluzione del conflitto. Il premier ha inoltre sottolineato il diritto all’autodifesa di Israele e l’importanza di una de-escalation a livello regionale, che comprenda anche i territori al confine con il Libano, dove sono presenti le forze di interposizione delle Nazioni Unite, dell’Unifil e in cui l’Italia gioca un ruolo di primo piano.
Meloni: “Necessario un accordo in Medio Oriente per il cessate il fuoco“
Il centro del colloquio tra Giorgia Meloni e Benjamin Netanyahu ha riguardato la possibilità che si possa trovare un accordo per un cessate il fuoco sostenibile a Gaza e il rilascio degli ostaggi. Il premier ha sottolineato che tale intesa dovrà essere in linea con la Risoluzione 2735 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e che dovrà essere raggiunta nel prossimo round di negoziazioni previste per il 15 agosto.
Un obiettivo di certo non semplice viste le tensioni che animano le Regioni coinvolte dal conflitto. Da un lato, l’organizzazione di Hamas vorrebbe evitare di inviare una delegazione per i negoziati, poiché li riterrebbe inutili e semplici diversivi per permettere ad Israele di proseguire con il suo piano. L’organizzazione terroristica ha quindi richiesto che vengano approvati i progetti predisposti da Joe Biden, che lo scorso 31 maggio ha presentato un piano in tre fasi per la risoluzione del conflitto. Dall’altro lato la possibilità di un attacco dell’Iran prima del 15 agosto potrebbe convincere Israele a tirarsi indietro, riportando la situazione ad uno stallo.
Lo Stato islamico, in queste ore, ha respinto la richiesta dei Paesi occidentali di ritirare le minacce contro Israele affermando che non sta cercando il “permesso” per vendicarsi contro il suo nemico. “La Repubblica islamica è determinata a difendere la sua sovranità e non chiede a nessuno l’autorizzazione per esercitare i suoi diritti legittimi“, ha infatti dichiarato in un comunicato stampa il portavoce del ministero degli Esteri, Nasser Kanani. A nulla è servito l’appello del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha dichiarato: “L’Italia incoraggia tutti i protagonisti a lavorare per raggiungere il cessate il fuoco a Gaza con la liberazione degli ostaggi israeliani. L’Iran rinunci ad azioni destinate a provocare una escalation nella regione“.
Cosa prevede la Risoluzione 2735 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
La Risoluzione 2735 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite prevede che gli sforzi diplomatici in corso da parte di Egitto, Qatar e Stati Uniti abbiano l’obiettivo di “raggiungere un accordo comprensivo per il cessate il fuoco, costituito da tre fasi“, come previsto dal piano presentato da Joe Biden lo scorso 31 maggio, che prevede tre momenti che congiuntamente porteranno alla cessazione delle ostilità.
In primo luogo è richiesto un “cessate il fuoco immediato, completo e totale con il rilascio degli ostaggi, la restituzione delle salme di alcuni ostaggi uccisi, lo scambio di prigionieri palestinesi, il ritiro delle forze israeliane dalle aree popolate di Gaza, il ritorno dei civili palestinesi in tutte le aree di Gaza e la distribuzione sicura di assistenza umanitaria su larga scala“.
In secondo luogo, si procederà, a seguito di un accordo tra le parti, alla cessazione permanente delle ostilità, “in cambio del rilascio di tutti gli altri ostaggi ancora a Gaza e del ritiro completo delle forze israeliane da Gaza“. Nell’ultima fase si lavorerà per “l’avvio di un importante piano di ricostruzione pluriennale per Gaza e la restituzione alle famiglie delle salme degli ostaggi deceduti ancora a Gaza“.
La Risoluzione, inoltre, stabilisce che il cessate il fuoco dovrà durare per tutta la durata dei negoziati, anche se questi dovessero protrarsi per più di sei settimane e rifiuta qualsiasi tentativo di cambiamento demografico o territoriale nella Striscia di Gaza, comprese le azioni che riducono il territorio di Gaza. Inoltre, la Nato ha voluto affermare nuovamente l’impegno a favore della soluzione dei “due Popoli sue Stati“, in modo che questi possano vivere in pace “uno accanto all’altro all’interno di confini sicuri e riconosciuti, in conformità con il diritto internazionale e le pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite“. Per questo la Risoluzione sottolinea l’importanza dell’unificazione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania sotto l’Anp.
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