Alessandro Giuli si dichiara “un liberalsocialista di destra” nell’intervista che ha concesso ad Alberto Mattioli per La Stampa, la sua prima a un quotidiano italiano da quando è ministro della Cultura. Giuli confessa che vorrebbe essere ricordato come “qualcuno che ha lasciato in condizioni migliori quello che ha trovato. Nel rispetto delle regole, delle procedure e dei soldi pubblici”. Durante il colloquio è stato interrogato su diverse questioni che vanno dai progetti che ha intenzione di portare avanti col suo nuovo ruolo alle sue idee personali riguardo diversi temi caldi.
I 3 progetti di Giuli
Al ministro viene chiesto dei 3 progetti che vorrebbe portare avanti in questo suo nuovo ruolo da ministro della Cultura. Il primo è sicuramente quello di “rianimare la filiera dell’editoria, ma partendo dalla lettura”. Infatti in Italia il problema è che “ci sono più libri pubblicati che lettori”, quindi presto verranno finanziate con 30 milioni di euro le biblioteche, che spesso sono collocate in luoghi periferici, per diminuire le distanze fra centro e periferia. Vorrebbe quindi portare la lettura come alternativa ai problemi della società come lo spaccio o “l’immersione solitaria nei social”.
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Il secondo progetto è quello della “diplomazia culturale”, ovvero rendere la cultura uno strumento che possa agevolare il dialogo e la pace. E per questo, afferma, “l’Italia è un paese strategico”. Per l’ultimo punto che considera fondamentale, cita l’articolo 9 della Costituzione che per lui è fra i meno applicati. In quanto ministro, “devo dare ai beni culturali italiani una cornice protettiva, d’accordo, ma anche farli diventare strutture dinamiche. Mappare i rischi e sviluppare le potenzialità”. Spiega che il suo obiettivo è quello di “far sì che i musei raccontino il loro contesto, la loro storia, le loro radici. Sono l’autobiografia della comunità nazionale”.
Nomine, dimissioni Spano, Sangiuliano
Sulle nomine nei musei, nei teatri e così via, gli viene chiesto se si affida all’appartenenza politica o alla competenza. Giuli risponde di aver già dato qualche segnale a riguardo. Parla, per esempio, di aver riequilibrato la parità di genere nella commissione per il cinema, scegliendo anche delle “personalità di latitudini lontane dalle mie“, o meglio, “di estrazioni culturali anche molto diverse dalla mia”.
Su Francesco Spano, capo di gabinetto nominato, che poi si è licenziato, dice che “la sua scelta ha provocato una crisi di rigetto da parte di una minoranza un po’ fanatizzata dell’elettorato di destra, non da parte di Fratelli d’Italia”. Dichiara che si è dimesso perché “non reggeva la pressione dei soliti persecutori mediatici” e che inizialmente lui aveva rifiutato le dimissioni, “ma alla fine ho dovuto accettarle”.
Sempre in ambito dimissioni, smentisce la notizia che circolava di aver minacciato anche lui di dimettersi. Afferma invece di aver chiesto di poter lavorare e che la fiducia della premier non è mai venuta meno. “Respingo l’idea che io sia un ministro in qualche modo commissariato e che io sia un ministro tecnico”, anche perché non crede nei ministri tecnici.
Sul suo predecessore Gennaro Sangiuliano dichiara che è stato “sottovalutato nella sua tenacia politica e massacrato da un sistema mediatico su cui bisognerà aprire una riflessione”. Aggiunge che se in passato le procure si occupavano di “imbeccare i giornali, oggi avviene il contrario”.
Rai e scuola privata
Sulla Rai dichiara che “non c’è abbastanza chiarezza politica” e che da quando si è concentrata solo sullo share, “ha perso di vista la divulgazione culturale, dunque la sua vocazione di servizio pubblico”. Afferma quindi che la tv pubblica dovrebbe tornare “ai fondamentali”. Mattioli gli chiede poi informazioni riguardo alla volontà di FdI di finanziare le scuole private e Giuli dice che è d’accordo su questo punto, “ma prima bisogna mettere in sicurezza la scuola pubblica”. Infatti per lui il principio liberale della libertà d’educazione è fondamentale.
I tatuaggi e il fascismo
Passando a temi più leggeri in apparenza, gli viene chiesto il significato dei suoi tatuaggi, che possono far pensare al fascismo. Il ministro risponde che l’aquila che ha sul petto non rimanda al fascismo, ma è un’aquila romana, “predata dai parti, credo alla battaglia di Carre. E restituita a Roma non dopo una campagna militare, ma grazie alla diplomazia di Nerone”. Quindi non simboleggia il fascismo, ma può essere considerata persino pacifista. Poi ha tatuato lo scettro di Spoleto “un simbolo osco-umbro. Sono sempre stato affascinato all’antichità”.
L’intervistatore lo incalza e gli chiede direttamente se è fascista. “Io non sono mai stato fascista, perché il fascismo è finito da 80 anni” risponde. Spiega che da ragazzo ha militato nel Fronte della gioventù e poi negli extraparlamentari di Meridiano zero, “siamo tutti avanzi di qualcosa”.
Sul suo modo di parlare, che è cibo per i suoi imitatori, confessa che Crozza lo diverte. E dichiara che gli avversari politici hanno strumentalizzato il suo discorso in Commissione cultura della Camera. Teme quindi di aver “sopravvalutato le capacità cognitive di chi mi ascoltava” e le sue doti di divulgatore.
Elezioni Usa e questione Musk-Mattarella
Sulle elezioni presidenziali negli Stati Uniti confessa che un anno fa avrebbe votato i democratici se non ci fosse stata Harris. Ma con lei “o non avrei votato o avrei votato Trump”, anche se nel secondo mandato il tycoon “si ricorderà dell’assalto a Capitol Hill e sarà più cauto”. Per quanto riguarda il botta e risposta tra Elon Musk e Sergio Mattarella afferma che “è semplicemente irrispettoso coinvolgere il Presidente della Repubblica in un derby del genere”.
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