Il Consiglio dei ministri che si è tenuto oggi pomeriggio a Palazzo Chigi ha dato il via libera al decreto elezioni, che consentirà di votare in due giorni, ovvero la domenica dalle 7 alle 23 e il lunedì dalle 7 alle 15, già a partire dalla prossima tornata delle elezioni amministrative. Nella stessa sede sono anche state scelte le date per le prossime Comunali, che si terranno il 25 e il 26 maggio, e per l’Election day dei cinque referendum, che si svolgeranno nelle stesse date degli eventuali ballottaggi, ovvero l’8 e il 9 giugno.
All’uscita da Palazzo Chigi, il ministro per gli Affari europei e il Pnrr, Tommaso Foti, ha sostenuto che il governo ha deciso di svolgere la consultazione referendaria insieme ai ballottaggi per le amministrative e non durante il primo turno, “come è sempre stato“. Il comitato promotore aveva invece chiesto di spostare le date del voto sui cinque quesiti del referendum per favorire l’affluenza. Secondo il ministro, però, si tratterebbe di un collegamento non del tutto corretto, perché “l’affluenza è in base ai quesiti e non al giorno“.
Nella prossima tornata elettorale andranno al voto 124 comuni appartenenti alle Regioni a statuto ordinario e alle Regioni a statuto speciale Sardegna e Sicilia. Invece, l’8 e il 9 giugno i cittadini italiani potranno votare i quattro referendum promossi dalla Cgil sul lavoro, riguardanti i temi del Jobs Act, dell’indennità di licenziamento per le piccole e medie imprese, dei contratti a termine, della responsabilità del committente in caso di infortuni sul lavoro, e uno necessario a dimezzare da 10 a 5 anni il tempo di residenza in Italia per coloro che vogliono richiedere la cittadinanza italiana.
Nello stesso Consiglio dei ministri è stata poi approvata una novità riguardante il voto per i fuorisede. I lavoratori e gli studenti che si trovano lontani dalla città di appartenenza potrebbero avere la possibilità di votare nella Regione in cui si trovano per il referendum ma non per le Comunali, come riferito dalla bozza inserita dal governo all’interno del decreto elezioni.
Elezioni, quali sono i cinque referendum da votare l’8 e il 9 giugno
L’8 e il 9 giugno, quindi, i cittadini italiani sono chiamati a prendere una decisione su cinque quesiti riguardanti la cittadinanza e materie legate al lavoro. Innanzitutto, il primo dei quesiti riguarda l’abrogazione della disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti del Jobs Act. Questo consente alle imprese di non reintegrare i lavoratori licenzianti in modo illegittimo nel caso in cui questi siano stati assunti dopo il 2015.
Il secondo riguarda la cancellazione del tetto delle indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese. L’obiettivo del referendum è quello di aumentare le tutele nei confronti di coloro che lavorano in aziende con meno di 15 dipendenti, cancellando quindi il limite massimo di sei mensilità all’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato.
Il terzo quesito mira a introdurre nuovamente l’obbligo per i datori di lavoro di indicare una giustificazione per le assunzioni a termine inferiori a 12 mesi, così da evitare abusi nei contratti a termine senza motivazione e per proteggere i lavoratori dal rischio di precarietà continua. Inoltre, il referendum andrebbe a rafforzare il principio secondo cui il contratto di lavoro standard dovrebbe essere quello a tempo indeterminato.
Il quarto quesito invece riguarda la sicurezza sul lavoro e prevede che, in caso di incidenti sul lavoro dovuti a carenze di sicurezza negli appalti, la responsabilità del committente non sia più limitata solo ai rischi generici, ma riguardi anche quelli specifici dell’appaltatore. In questo modo, si renderà sempre responsabile il committente, così che le famiglie possano ricevere risarcimenti diretti.
L’ultimo quesito riguarda poi la richiesta di cittadinanza per coloro che vivono in Italia da un determinato periodo di tempo. La possibilità sarebbe quella di rendere l’acquisizione di questo documento più semplice, dimezzando il tempo finora richiesto, ovvero facendolo passare da 10 a 5 anni. In questo modo si modificherebbe l’articolo 9 della legge. n. 91 del 1992, ma non andrebbero cambiati gli altri requisiti richiesti per ottenere la cittadinanza.
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