A 48 ore dalla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne migliaia di persone, di tutti i sessi e le età, si sono rovesciate in strada, sia in Italia sia all’estero, per dire basta contro i soprusi, le vessazioni, gli abusi, le molestie e le mancanze di rispetto che le donne di tutto il globo sono costrette a soffrire. A due giorni da un appuntamento ormai divenuto fondamentale per ricordare che le donne hanno una voce, hanno diritti e hanno valori eguali agli uomini, un’ondata fucsia ha invaso le strade delle più grandi città europee.
In Italia la movimentazione è stata piuttosto sentita, come ha dimostrato anche il corteo organizzato da “Non una di meno” a Roma, dove migliaia di donne hanno scelto di sfruttare il silenzio e i rumori stordenti per gridare la loro liberazione, per dimostrare che l’oppressione della violenza sulle donne e del patriarcato non è ancora stata debellata nel nostro Paese, nonostante le lotte continue e i miglioramenti che si registrano in molti altri ambiti.
Lo dimostrano i 334 femminicidi registrati nel 2023, gli oltre 90 avvenuti quest’anno e tutti quelli che prima di questi si sono verificati in Italia. Migliaia di donne, strappate alla vita solo perché nate col “genere sbagliato“, costrette a subire i dettami di una società che non riesce a liberarsi dalle catene del passato.
Così, la solidarietà femminile e i gruppi di donne si riuniscono e usano le loro voci per intonare un coro potente. Un coro che possa sovrastare le voci degli uomini e che possa essere udito anche a distanza, e possibilmente raggiungere le orecchie di chi, per primo, deve dare inizio a campagne di sensibilizzazione, a corsi di educazione affettiva, a sedute di psicoterapia per tutti coloro che dimostrano atteggiamenti violenti nei confronti di chi è più debole, di chi è indifeso.
Così, il grido di coloro che urlano “Insieme siamo partite, insieme torneremo. Non una di meno” si trasforma da mero slogan a promessa, nel nome di tutte coloro che da sole hanno dovuto affrontare i loro aguzzini e di tutte coloro che ancora oggi sono costrette a farlo.
Roccella: “Meloni ha fatto molto per contrastare la violenza contro le donne“
Nel corso del corteo di Roma non sono mancate le tensioni. Davanti al ministero dell’Istruzione è stata data alle fiamme una foto del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara dalle attiviste del del movimento femminista Aracne e dai collettivi, che continuano a protestare contro il titolare del Miur a causa delle sue dichiarazioni durante la presentazione della fondazione Giulia Cecchettin.
“Oltre 100 morti di Stato. Non è l’immigrazione ma la vostra educazione“, avrebbero infatti intonato i presenti, rispondendo ad una delle dichiarazioni di Valditara, che avrebbe sostenuto la possibilità che l’aumento dei femminicidi possa essere legato a “forme di marginalità e di devianza discendenti da un’immigrazione illegale“. Anche il corteo organizzato in onore di Giulia Cecchettin ha voluto rispondere alle parole del ministro, sottolineando che “il patriarcato esiste, non è ideologia e il razzismo istituzionale non è la risposta“, per poi aggiungere che troppo spesso “l’assassino, il violento, sono figli della nostra società e hanno quasi sempre le chiavi di casa“.
I manifestanti avrebbero anche tentato di mandare un messaggio alle manifestazioni Pro-Vita, scandendo lo slogan “il mio corpo, la mia scelta” e provando a raggiungere la sede dell’associazione anti-abortista, anche se senza successo. A questi momenti di tensione avrebbe risposto la ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, che ha definito “una contraddizione stridente” ciò che è accaduto oggi nelle strade italiane.
“Il governo Meloni ha fatto molto per contrastare la violenza contro le donne, anche dal punto di vista economico ha contribuito ad aumentare l’occupazione stabile femminile, ha supportato l’aumento dei centri antiviolenza che sono cresciuti del 5% negli ultimi due anni“, ha dichiarato la ministra di fatto rispondendo alle accuse dei manifestanti, i quali però avrebbero duramente criticato anche il governo stesso. “Questo è un governo patriarcale, non basta una premier donna“, hanno infatti dichiarato, per poi aggiungere esempi pratici: “Le misure contenute nel ddl sicurezza sono preoccupanti, dalla restrizione del diritto al dissenso alla possibilità di ingresso in carcere per le donne in gravidanza o comunque con figli molti piccoli“.
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