Non più “madre” e “padre”, ma “genitore“. Sulla carta d’identità torna la dicitura, almeno nel caso in cui una famiglia è costituita da due genitori dello stesso sesso che hanno fatto ricorso all’adozione. Una ennesima inversione di marcia stabilita giuridicamente dalla Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso del Ministero dell’Interno contro la decisione della Corte d’Appello di Roma, in merito alle richieste mosse da una coppia di donne, di disapplicare il decreto con il quale il Viminale aveva reintrodotto l’indicazione “madre” e “padre” dall’allora Ministro Matteo Salvini. Una indicazione che era già stata abolita nel 2015 in favore di quella appunto più generica.
Secondo quanto specificato in sentenza, per gli ermellini il ritorno di quella nomenclatura avrebbe un carattere “discriminatorio” e “difetta di un reale contenuto esplicativo“, senza rappresentare coppie dello stesso sesso che in specifici casi hanno fatto ricorso all’adozione. Quindi si tratterebbe di una dicitura che non andrebbe a rispecchiare l’effettiva realtà delle famiglie con genitori dello stesso sesso.
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Inoltre, la Cassazione sottolinea come “la carta d’identità valida per l’espatrio rilasciata ai minori di età inferiore ai 14 anni può riportare, a richiesta, il nome dei genitori o di chi ne fa le veci” e l’uso della carta d’identità ai fini dell’espatrio da parte di minori inferiore a questa età.
Il Tribunale di Roma aveva “disposto di indicare solo ‘genitore’ nella carta d’identità elettronica di un minore figlio di due madri, una naturale e una di adozione, che avevano fatto ricorso alla step child adoption“. Nello specifico per i giudici di Piazzale Clodio si tratta di una scelta obbligata affinché il documento, “valido per l’espatrio, desse una rappresentazione corrispondente allo stato civile del piccolo, che aveva il diritto ad ottenere una carta d’identità, utile anche per i viaggi all’estero, che rappresentasse la sua reale situazione familiare. Un diritto che il modello Cie, predisposto dal Viminale – si legge – non garantisce perché non rappresenta tutte ‘le legittime conformazioni dei nuclei familiari e dei correlati rapporti di filiazione“.
Una decisione che non ha lasciato di certo indifferente l’ambiente politico dove le reazioni sono state svariate e per la quale invece si vedono esultare le associazioni che si battono per i diritti degli omosessuali e l’opposizione. Primo fra tutti è giunta la voce del responsabile dei diritti del Pd ed europarlamentare, Alessandro Zan, ritenendo che si tratti di “una sentenza storica, che mette un punto fermo: la tutela dei diritti di tutti i figli è prioritaria“, perché “negare a una bambina o a un bambino un documento d’identità che rappresenti ‘le legittime conformazioni dei nuclei familiari‘, è una violazione grave e discriminatorio“.
Zan ha puntualizzato come la decisione della Cassazione porti ad annientare “la crociata ideologica portata avanti dalla destra nei confronti delle famiglie arcobaleno, con l’imposizione della dicitura di Matteo Salvini e con vari ricorsi dell’attuale Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi“. E ritenendola una “retorica ipocrita“, l’europarlamentare affonda sul Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che avrebbe “cavalcato” tale retorica che “ha usato i diritti di tante bambine e tanti bambini per pura speculazione politica“.
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