Arriva la cavalleria

Maurizio Bianconi
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Fra il 2010 e il 2011 scoppiò l’affaire Ruby e delle “olgettine“. Venne fuori che le informative che incastravano il presidente del consiglio provenivano dai servizi segreti. Il responsabile politico dei Servizi era l’allora sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta, braccio destro e sinistro nonché angelo custode del presidente. Incredibilmente ci si era serviti per inguaiarlo di un organismo sotto il controllo dall’uomo di fiducia della vittima della tagliola. Berlusconi si tenne avvinghiato a Letta e tutto continuò come se nulla fosse.

L’episodio segnala come sia complicato decriptare gli intricati meandri di quei mondi (semi)sommersi, dove si intrecciano lotte, faide, ricatti, interessi oscuri. Il mondo delle spie, spesso corredato da partecipazioni straniere, è commisto alle vicende del paese da decenni secondo i disegni di pochi potenti. In genere la delega governativa ai Servizi viene affidata a una personalità di fiducia assoluta del premier. Qualcuno l’uomo di fiducia all’altezza non l’aveva e con scaltrezza inaspettata non dette delega e
tentò di vigilarli in prima persona.

Un altro premier ancora semidigiuna dei maneggi sottacqua delegò una personalità legatissima al mondo vaticano, con un passato di militanza comune con la premier. In più c’era la certezza di avere vicino un uomo capace, tutto d’un pezzo, leale, qualità indiscusse di Alfredo Mantovano. A quel punto andava scelto il direttore generale dei Servizi . Per nominarlo entrarono in campo due pezzi da 90. Uno Mario Draghi, gran commis degli intrighi con la finanza e l’altro dal Quirinale si assicurarono un comune riferimento di prim’ordine. Fu confermata Elisabetta Belloni una diplomatica con cultura gesuitica, protetta e stimata nei loro mondi. Una “civil servant” come si autodefinisce.

Fu così che Giorgia Meloni pensò di aver trovato un modus vivendi poco consono alle promesse di “rivoltare il paese come un calzino“, continuista ma efficace per preservare la durata del suo mandato. L’essere di Parmenide, immutabile, è un’illusione ricorrente di chi ha raggiunto il potere. Ma in politica vince un altro filosofo, Eraclito, teorico del divenire e del movimento perpetuo. Nulla rimane neppure un attimo così com’era. La regola aurea vale anche nei Servizi.

All’interno di quell’universo gli interessati irrequieti intraprendono sordi bracciodiferro, maturano dissidi e alleanze. Si promuovono dualismi politici, fra generali e diplomatici, fra servitori dello stato e del partito. Una sorta di scontro continuo per potere e posizioni fra fazioni e personaggi ambiziosi e disinvolti nelle azioni facilitate dalla semisegretezza dei contesti . In questo quadro matura il tentativo di sgambetto, verso la governance Meloni, che troppo spesso scavalca, fa, dichiara, si sottrae ai controlli, improvvisa. I plenipotenziari tentano di rispondere a tono e tentano il colpaccio.

Le date fondamentali sono il 16 19 23 dicembre. Il 16 viene arrestato a Malpensa Mohammed Abedini (Iran), il 19 in Iran viene catturata Cecilia Sala, il 23 il direttore generale dei servizi annuncia le sue dimissioni. L’arresto a Malpensa faceva prevedere una ritorsione iraniana, secondo consuetudine. Nessuno si allerta e la Sala rimane nella rete. Anziché rimediare il malfatto e lavorare pancia a terra, il direttore generale il 23 fa scoppiare una grana all’interno dei Servizi. Annuncia le sue dimissioni, disassando vieppiù un organismo delicato e sotto pressione e che sicuramente era in sofferenza per l’accaduto. Roba non da civil servant, ma da rematore retroverso. Quasi un maramaldo. Ma come in un western d’antan arriva la cavalleria e il deep state fa cilecca.

La faccia tosta e il situazionismo della premier rompe gli schemi e la Sala torna a casa.I particolari non saranno vagliati qui . Ma Meloni ha avuto la conferma che i presunti amici e i nuovi soci sono subdoli nemici, che la competenza e la lealtà di pochi collaboratori conta ben più che la stolta fedeltà dei troppi beneficiati. Che l’interesse nazionale non passa attraverso i diktat europei, né le azioni di accreditamento personale, ma attraverso una logica di comunità, di affermazione del rispetto dovuto e nell’affermazione degli interessi e delle logiche proprie del paese. Un’Italia così potrebbe essere leader, guida, persino ricca, degna di considerazione in Usa, come in Iran, in Russia, in ogni zona calda del pianeta. Forse si è ancora in tempo a cambiare strada e postura.

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