La vicenda si potrebbe archiviare nella categoria del surreale se non fosse carica di una forza dirompente che dal piano simbolico fa presto a trasferirsi in quello delle conseguenze politiche. Il via libera a spiccare il mandato di arresto, per crimini contro l’umanità e crimini di guerra, per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant e il leader di Hamas Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri (noto come Deif) ha molti aspetti per essere inquadrato come un atto di duro antisemitismo. I mandati erano stati richiesti anche contro gli altri due principali leader di Hamas, Ismail Haniyeh e Yahya Sinwar, ma sono entrambi stati uccisi nel corso di operazioni di guerra.
È bene chiarire che la Corte penale internazionale è altra cosa dalla Corte di giustizia internazionale, organo giurisdizionale dell’Onu. La prima è un organo autonomo, agisce e opera in proprio senza nessuna copertura giuridica e si occupa di giudicare le persone relativamente agli Stati che ne riconoscono la giurisdizione. La seconda, invece, si occupa di giudicare gli Stati, e i suoi giudizi hanno forza di legge poiché opera sotto l’egida delle Nazioni Unite.
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Non si può non essere d’accordo con il presidente Herzog quando denuncia nel mandato di cattura e arresto contro “Bibi” Netanyhau e il suo ex ministro Gallant “un giorno buio per la giustizia e l’umanità”. Assimilare le azioni militari, condotte secondo una logica difensiva e non ritorsiva, dell’esercito di Israele all’aggressione dell’Ucraina da parte di Putin significa davvero ridurre il concetto di giustizia a uno zimbello.
Priva di mezzi di coercizione per dare seguito alle sue sentenze, la forza della Cpi è nella ribalta mediatica assicurata a ogni sua iniziativa. Chi ha sfogliato un giornale, oggi, 22 novembre, o ascoltato un Tg ieri sera, 21 novembre, non ha potuto non ritenere clamorosa l’iniziativa di quell’organismo. Clamorosa e, per chi ne conosce la natura, del tutto inefficace. Si diceva, però, dell’impatto politico e diplomatico che essa può avere nella postura dei Paesi alleati o avversari di Israele. Accrescere l’isolamento del governo di Tel Aviv o creare ostacoli al sostegno che l’America ha fornito con Biden e fornirà allo stesso modo con Trump al governo Netanyhau è un obiettivo ragguardevole. Lo è per chi usa Corte e la sua attività per fini puramente politici, non potendo averne altri.
Se l’impatto mediatico è elevato, altrettanto può dirsi della percezione distorta che questa decisione trasmette sullo stato del conflitto a Gaza. A 13 mesi dal pogrom del 7 ottobre 2023, sono ancora 101 gli israeliani detenuti dai terroristi di Hamas, loro, sì, da perseguire con ogni mezzo.
Ha sorpreso e non poco la presa di posizione del Papa. Tutti ne abbiamo ascoltato l’appello alle parti in conflitto affinché accettino il cessate-il-fuoco. Equiparare i loro comportamenti, come ha fatto Francesco, non rende giustizia alla realtà e allontana ogni possibilità di negoziato fra Israele, Hamas e Hezbollah. È ingiusto e offensivo paragonare le sofferenze degli aggrediti (gli israeliani) e quelle degli aggressori. Anzi, due volti aggressori: perché Hamas ha aggredito e massacrato come bestie più di 1200 israeliani fra giovani, bambini e vecchi, e poi ha usato come scudi umani la stessa popolazione civile palestinese per il cui destino dice di battersi.
Si comprende sul piano politico, ma si spiega meno sul piano etico, la logica remissiva dell’Italia espressa dal ministro della Difesa. Guido Crosetto è una persona perbene, un politico trasparente ma conosce anche, come è richiesto a chiunque occupi la sua posizione, la realpolitik a cui bisogna adeguarsi. È un peccato, però, perché l’esercizio della leadership impone talvolta di non rifugiarsi nelle sottigliezze e abbracciare fino in fondo una causa. Sempre che si ritenga essere quella giusta.
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