Continuano a fioccare dichiarazioni di ogni genere da parte di chiunque sia interessato al caso Almasri e quindi agli avvisi di garanzia inviati alla premier Giorgia Meloni, al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, al ministro delle Giustizia, Carlo Nordio e al ministro dell’Interni, Matteo Piantedosi.
Varie le opinioni emerse sulla vicenda, tra servizi segreti, complotti e guerra tra Governo e magistratura, non si perde occasione per interpellare gli interessati alla ricerca di nuove informazioni. “Attendo di spiegare quanto è successo, vorrei evitare di anticipare in questa sede quello che dirò quando sarò chiamato“, glissa Alfredo Mantovano in un intervento pubblicato dal Nuovo Quotidiano di Puglia.
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La confessione di Mantovano
Il Sottosegretario, quindi, vorrebbe avvalersi della facoltà di non rispondere. Ma, Mantovano non lascia a bocca asciutta i cronisti confessando con ironia cosa abbia fatto al documento ricevuto in seguito al rilascio del cittadino libico Almasri, nonostante l’ordine d’arresto da parte della Corte Penale Internazionale.
“Posso solo dire che, – confida il Sottosegretario – nella mia stanza, da qualche giorno quell’avviso è incorniciato“, rimarcando il rispetto istituzionale che tenta di avere e ricordando che la sua posizione attualmente “è sotto accusa per favoreggiamento e peculato“.
La riforma sulla Giustizia
Dopo essere tornato a parlare sul caso Almasri e sull’inchiesta in cui risulta indagato dopo la denuncia dell’avvocato Luigi Li Gotti presentata alla procura di Roma, Mantovano ha proseguito il suo intervento nel corso di un evento al Rotary club di Lecce, delineando alcuni punti della riforma sulla Giustizia.
“Non abbiano la pretesa di ritenere di fare una legge perfetta – sostiene il Sottosegretario pugliese – perché il miglioramento arriva anche dal confronto“, che si spera possa far superare la contrapposizione tra Governo e magistratura. “Noi non vogliamo fare una riforma contro i magistrati ma una riforma per i cittadini“, conferma Mantovano quanto detto a Roma in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario.
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