Washington: Berlusconi è risorto

Maurizio Bianconi
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È opinione condivisa che i candidati alla Casa Bianca di questa tornata hanno contribuito ad abbassare ulteriormente la qualità della politica e dei suoi attori. Trump, già sperimentato come presidente e conosciuto fin troppo bene, non è personaggio che possa migliorare alla soglia della quarta età e i suoi eloqui e i progetti semirreali sono noti. Kamala Harris è il fondo del barile di un Partito Democratico che sembra un fake malriuscito di quello che espresse i Kennedy, i Clinton e gli Obama. Barile malconcio ma il solo in cui cercare e ripescare tardivamente questo personaggio, già bocciato fin dai suoi esordi da vice.

Le deficienze comportamentali, i lapsus, le gaffe e le defaillance di deambulazione nei meandri della mente e negli scalini degli aerei del candidato Biden avevano costretto a rispolverare e mettere in vetrina questa player. È stato il regalo di commiato di Biden ai democratici, messi fra l’uscio e il muro dalle loro indecisioni e da una senescenza galoppante, incomprimibile, piccosa e masochista di Lazy Jo (Giovannino il pigro). Ha vinto il personaggio dato per perdente, lasciando fra lui e l’avversaria un baratro di voti e di delegati. Donne, neri, abortisti , ispanici, Lgbt e cultura woke avrebbero dovuto costituire un muro blu invalicabile per Trump, retrogrado, violento, fascistoide, pericoloso.

Gli spunti per impostare una campagna di questo tenore c’erano tutti. Ma erano nelle coordinate degli ospiti dei roof garden, dei circoli esclusivi. Roba esaltata dai clienti degli club sportivi d’alto rango e per gli habitué dei ristoranti stellati.
Non per i milioni di americani immolati a un sogno, quello americano, che rischia di deluderli. Donald non è stato fermato dalle élite scese sul piede di guerra. E mai vittoria fu più schiacciante. Kamala ha subito un K.O. che ha richiesto oltre un giorno per farla riprendere e spiccicare parola.

Questa è anche la riprova che la palla di cristallo ricolma di comfort che va in giro nell’atmosfera più rarefatta sopra gli U.S.A. scorrazza un carico inutile e fuorviante. Sono gli opinion leader, i re dell’informazione e dei media, i politologi, quelli bravi. Questa inutile congrega forma quel groviglio onirico untuoso dei servi di chi ha le leve del comando. Costoro dipingono scenari su misura in cui le loro tesi sono raffigurate come specchio della società. Ogni candidato presidente è sempre caduto nelle loro mani e nella pseudo-realtà dove gli indagatori dei pensieri indagano se stessi e le loro opinioni. Per il che, in una confusione di ruoli e spazi nella quale non si distingue più la realtà, candidati e inner circle ( o poco più) si crogiolano convinti tutti che alla fine piegheranno le volontà e le opinioni del parco buoi elettorale.

È emerso che il popolo americano, anche benestante, sta viaggiando più che su vagoni di 2 classe dello stesso treno su un altro treno dove la prima classe è inesistente e dove ci sono numerosissimi vagoni con soltanto posti in piedi, ignorati o soltanto sottovalutati dai soloni dei sondaggi. È venuto anche fuori che il mondo dorato dello show business e i suoi eroi sono sì dentro l’animo dei fan, ma per il voto essi pendono dai giudizi dei divi come una pornostar da quelli di Santa Maria Goretti, che fu martirizzata per difendere la propria illibatezza.

Difficile supporre che chi deve scegliere la tutela dei propri interessi, possa avere gli stessi difensori di chi guadagna in neanche una giornata quanto lui non riuscirà mai neppure in un’intera vita. Parlano chiaro infine i risultati Washington D.C., sede di tutti i poteri che contano del deep State, dell’high society della burosaurocrazia e della politica che decide, legata a doppio filo al potere dei dollari, armi, banche e fondi sovrani: Harris 90,6%, Trump 6,4%. Ogni spiegazione ulteriore offenderebbe le capacità intellettive di ciascuno.

Il Paese ha vinto contro la sua élite apparente. Che abbia vinto contro quella reale è un’illusione che Trump ha sparso a piene mani. Se si fa caso alle reazioni per questo risultato in mezzo a noi, colpisce l’entusiasmo forse talvolta smodato non della destra in sé, ma del cuore profondo di quella Italia che, incapace di prendersi cura di sé pare essere in perenne attesa del Messia Risolutore, di cui Berlusconi fu l’antesignano e il miglior interprete.

Allora essi vedono in questo dubbio personaggio figlio di un’America non migliore della sua antagonista, il Salvatore, il Berlusconi del mondo, risorto per portare il verbo e risolvere ogni problema in ogni dove da Washington fino all’ipermercato frequentato dalla casalinga di Voghera. Anche questa illusione sarà presto vanificata.
La scuola è una: promettere, illudere e poi fare i propri interessi. Da Meloni a Melania o a suo marito… fa lo stesso.

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