Un, due, tre. Che cosa c’è dietro la disputa sul limite di mandati per sindaci e governatori

De Luca e Zaia sono nella scomoda posizione di chi ha insieme torto e ragione nel volersi ricandidare per la terza volta (De Luca) o per la quarta (Zaia). Dietro il conflitto condotto in punta di diritto e di dottrina, si combatte la più antica delle guerre: quella per il potere

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Vincenzo De Luca è quello che tutti conosciamo: un sacripante, l’aria sempre fiera e minacciosa di chi si diverte a incutere timore e soggezione al malcapitato interlocutore che manifestasse dubbi sulla sua legittima aspirazione a una terza candidatura. “Ho il diritto di essere giudicato dagli elettori”, disse tempo fa a chi lo sfruculiava sulla questione. Chissà cosa deve aver detto a Elly Schlein, in privato, avendola già rampognata pubblicamente via agenzie. Perché Schlein, è ovvio, soffre De Luca come l’ultimo inciampo rimasto nel Pd. Silenziato lui, la presa del partito sarebbe completa. E se De Luca, imprevedibile e fumino, desse seguito alla sua minaccia e si candidasse nuovamente, fuori e contro il Pd? A dar manforte a Schlein è arrivata la presidente del Consiglio, e con lei tutta la maggioranza, e tutti insieme contro la terza candidatura di De Luca e, in Veneto, la quarta di Zaia. È facile intuire il senso di questo duello all’ok Corral: Schlein pensiona De Luca, e questo le consente di intavolare accordi con Conte e i vari cespugli centristi. Meloni potrebbe spianare, senza De Luca in mezzo, la via per la riconquista della Campania a un suo candidato. Poi, il Veneto. Zaia governa ininterrottamente dal 2010, una durata inferiore soltanto a quella di Roberto Formigoni che lasciò la guida della Lombardia dopo 18 anni, nel 2013. Fratelli d’Italia rivendica per sé il Veneto perché da lì è venuto il premio più cospicuo con il 32% di voti alle europee. Se la Lega può ancora aprire bocca è solo grazie alla forza elettorale personale del “doge” Zaia.

Come scardinare quelle due cadreghe tanto ambite da Fratelli d’Italia e la cui perdita toglie il sonno a Salvini e a Schlein? Ma è ovvio: c’è già la legge, basta farla rispettare. Si parla della legge 165/2004, norma di rango costituzionale concepita allo scopo di disciplinare i casi di ineleggibilità e incandidabilità degli aspiranti presidenti di Regione. C’è però un vizio: quella approvata nel 2004, proprio perché norma costituzionale, è inapplicabile senza una norma approvata dalle Regioni a cui era indirizzata. Si accenna al tetto di due mandati per i “governatori”. Ora De Luca, ma con lui Emiliano, in Puglia, e Zaia, in Veneto, chiama in discussione la norma e ricorda le sentenze con cui, in passato, la Cassazione e la Corte costituzionale hanno deliberato, in circostanze simili, che in attesa di norme applicative valgono quelle precedenti. Quindi nessun limite di mandati per Campania, Puglia e Liguria, cioè le tre Regioni che non hanno mai recepito nel loro ordinamento le disposizioni della legge 165/2004.

Il limite di mandati a Giovanni Toti lo hanno imposto i magistrati di Genova. De Luca, interpretando in modo estensivo la norma, ha fatto approvare la legge applicativa con esplicito riferimento a un tetto di tre mandati. Il governo ha eccepito e impugnato la legge della Campania davanti alla Corte. La quale si pronuncerà per sciogliere il nodo irrisolto della legge 165. Difficile che possa farlo prima del 25 giugno, giorno stabilito per il voto regionale. Domanda: nel caso, al momento remoto, la Corte dovesse respingere il ricorso del governo, De Luca avrà diritto a chiedere l’annullamento del voto regionale per vizio?

Governo e opposizione, cioè Meloni e Schlein, hanno tirato per le lunghe con l’ovvio proposito di scegliere i candidati giusti per la corsa in Campania, trascurando l’incertezza interpretativa della norma per concentrarsi sul profilo politico della competizione e preoccuparsi di trovare il miglior posizionamento per i loro candidati. Schlein, si è detto, pensa soprattutto a neutralizzare una volta per tutte il leone De Luca e metterlo in gabbia. Proposito condiviso senza riserve da Meloni la quale ben sa che De Luca sarebbe un ostacolo rilevante per qualsiasi candidato di destra. Il tetto dei mandati, si tratti del sindaco o del presidente della Giunta regionale, rimane un problema in ogni caso irrisolto. Se è vero che il governo intervenne un anno fa per spostare i paletti sui limiti dei sindaci. Così è stato abolito ogni limite per i sindaci dei Comuni fino a 5 mila abitanti; il limite passa da 2 a 3 mandati nei Comuni fino a 15 mila abitanti e rimane invariato negli altri casi. Le ragioni di queste scelte sembrano fin troppo evidenti: la permanenza eccessivamente prolungata dello stesso vertice esecutivo può dar luogo a un’incrostazione di potere e, nei casi estremi, portare a fenomeni di corruttela. Tutto giusto e, per le cronache, anche vero. Ma sulla base di quali criteri vengono messi limiti di mandati? L’unico criterio, mai accennato, riguarda la finanza pubblica. Governare un Comune di 1000 anime significa amministrare un bilancio povero, molto vicino a quello di un condominio. Ammistrare un Comune di 40 o 100 mila abitanti significa per quel sindaco avere capacità di spesa ragguardevoli, sull’ordine di decine di milioni di euro.

E se un governatore, è il caso di De Luca e di Zaia, ha dato buona prova di sé come impedirgli di ricandidarsi senza con ciò limitare la possibilità di scelta dei cittadini e la facoltà dell’uscente di chiedere il giudizio degli elettori sul proprio operato?

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