L’Ucraina si conferma un severo banco di prova per il governo italiano

La maggioranza di centrodestra è salda e compatta, almeno a sentire i suoi leader. C’è sicuramente del vero, perché il governo Meloni è atteso da un autunno complicato sul versante dei conti pubblici ma, soprattutto sul sostegno all’Ucraina. Il pasticcio della nota trasmessa dalla Lega, e poi ritirata, in cui si nega a Kiev di usare le armi italiane in territorio russo non è uno scandalo, perché sono le cose scritte intorno a Ferragosto dal ministro Crosetto e ribadite ieri dal suo collega alla Farnesina, Tajani.

Jean-François Paul de Gondi
6 Min di lettura

Meloni, Tajani e Salvini giurano che le cose nella maggioranza vanno nel migliore dei modi. La sintonia è totale, si affretta a spiegare una nota di palazzo Chigi al termine del Consiglio dei ministri. E c’è da credere che, almeno in parte, le cose stiano davvero così. Chi, incosciente, potrebbe immaginare di mettere in piazza eventuali dissapori quando il governo è alla vigilia di una complicata legge di bilancio da scrivere di fatto senza il becco di un euro e le risorse disponibili sono tutte assorbite per la conferma del taglio del cuneo fiscale e dell’assegno unico anche se meno universale del 2023?

Non sono tempi per le divisioni e non c’è spazio per colpi di testa. Fra qualche settimana la Commissione europea stilerà le sue pagelle con le raccomandazioni rivolte ai singoli Paesi, e c’è da scommettere che il governo italiano avrà da studiare quelle carte. Il Consiglio dei ministri di oggi, 30 agosto, sarebbe filato via liscio se una manina poco accorta non avesse trasmesso alle agenzie una nota della Lega in cui si sottolineava la sua contrarietà a consentire a Kiev di usare le armi italiane in territorio russo.

Pochi minuti, e la nota è stata subito ritirata per essere sostituita dalle poche righe ufficiali di palazzo Chigi in cui viene richiamata “la totale sintonia su tutti i dossier, a partire dalla politica estera”. “Soddisfazione per la rinnovata autorevolezza e affidabilità dell’Italia nello scenario globale, come ribadito anche dal successo della presidenza italiana del G7, e condivisione sulla crisi in Medio Oriente e sulla posizione del governo italiano relativamente alla guerra in Ucraina”. Un incidente, ha provato a derubricare il leader leghista, “una scelta stilistica” ha insistito goffamente omettendo la ben diversa sostanza del contenuto in cui veniva espressa la dissociazione della Lega sull’uso delle armi italiane in territorio russo.

È buona regola, in politica, minimizzare le divergenze fra alleati e ridurre per quanto possibile le sfumature. Quando in gioco, però, c’è la sostanza della linea politica diventa imbarazzante ritirare la mano. Non è un mistero che sul sostegno militare e finanziario all’Ucraina Matteo Salvini abbia sempre espresso pubblicamente la sua contrarietà. Il fatto di aver poi sempre votato con il resto della maggioranza non è di per sé la prova che tutto vada nel migliore dei modi. La dissonanza fra ciò che si sostiene in pubblico e ciò che si vota nel chiuso di palazzo Chigi non è, come si è spesso sentito dire, la prova della coesione della maggioranza. La questione dovrebbe mettere in imbarazzo Salvini, in realtà finisce per ripercuotersi sull’immagine dell’esecutivo e alimenta una certa diffidenza da parte dei nostri alleati.

La realtà è che la piega presa dalla guerra di attrito avviata da Putin ha aperto a scenari imprevedibili fino a qualche mese fa. Con l’arrivo degli F-16 e il potenziamento degli armamenti di lunga gittata, Zelenski ha ritrovato fiducia e vigore nella difesa del suo Paese. L’arrivo di armamenti sofisticati lo ha convinto della necessità di trasferire sul territorio russo la propria linea di difesa, con l’obiettivo dichiarato di colpire le basi da cui parte la tempesta quotidiana di missili e di droni che colpiscono la popolazione civile.

 Una sfida temibile, e impegnativa nei suoi risvolti diplomatici e per la coalizione che sostiene Zelenski. Ha colpito non poco la linea ieri espressa da Josef Borrell, Alto rappresentante per la politica estera della Ue, quando ha sollecitato i Paesi membri ad autorizzare in territorio russo l’uso delle armi fornite a Zelenski. La dissociazione del nostro ministro degli Esteri è stata immediata e perentoria a tal punto da suscitare più di una domanda a Bruxelles, a Berlino e a Parigi, cioè le due capitali che hanno invece concesso il via libera a Kiev.

Quando poi si legge che la linea di politica estera e sull’Ucraina è condivisa nel governo, si deve registrare che quella linea è quella espressa dai ministri Tajani e Crosetto, contrari a eliminare le restrizioni sull’uso delle armi italiane. Il silenzio della presidente del Consiglio suona perciò come pieno assenso. Anche se Meloni non lo mette nero su bianco. Riservandosi magari di sfumare in sede europea e nella Nato una linea politica che porta l’Italia sul terreno di una problematica dissociazione rispetto agli alleati. È difficile al momento ipotizzare gli sviluppi del conflitto sul terreno, rimane però un’insidiosa sfida diplomatica per l’Italia.

© Riproduzione riservata

Condividi questo Articolo