Il tentato golpe messo in atto dal “cuoco di Putin”, Prigozhin, che minaccia addirittura di marciare su Mosca, comunque vada a finire, è un colpo all’immagine dello zar, perché prima di tutto siamo di fronte alla rivolta di un suo fedelissimo, e poi perché ha mostrato drammaticamente le falle di un esercito impantanato da un anno e mezzo in Ucraina e incapace perfino di difendere il fortilizio di Rostov, base strategica dell’”operazione speciale”. Putin si è servito del gruppo Wagner per affidargli i lavori più sporchi, soprattutto in Siria, ma anche per rafforzare la posizione geostrategica della Russia in Libia come in Mali, in Mauritania e in Sudan, dove i mercenari di Prigozhin hanno cacciato le truppe francesi. La compagnia paramilitare russa fu utilizzata per la prima volta nell’avanzata del 2014 nel Donbass, a sostegno delle forze separatiste in Donetsk e Lugansk, e nell’attuale conflitto si è resa protagonista di azioni efferate, come l’esecuzione di civili tra cui bambini – anche se l’esercito di Mosca non è stato certo da meno – ed ha tentato più volte, inutilmente, di organizzare l’assassinio di Zelensky.
Prigozhin, da fedelissimo di Putin, ha progressivamente messo sotto accusa i vertici militari russi, individuando come bersaglio grosso il ministro della Difesa Shoigu, chiedendone la rimozione, un’escalation che ha portato la Wagner in rotta di collisione con l’esercito “ufficiale”: prima gli ha imputato di lasciare volutamente il battaglione Wagner senza munizioni nella battaglia cruciale di Bakhmut, in cui sarebbero morti ventimila mercenari, poi di avergli lanciato missili contro, provocando così un inizio di guerra civile. Ora gli eventi sono precipitati, e i servizi di sicurezza interna che fanno capo al Cremlino hanno aperto un’inchiesta nei confronti del “cuoco di Putin”. Il quale ha lanciato un appello ai militari e alla popolazione civile perché lo sostengano contro la propaganda bellica del Cremlino, prefigurando così la volontà di compiere un vero e proprio colpo di Stato. Shoigu ha subito ordinato alla Guardia Nazionale, assieme a reparti antisommossa delle forze di sicurezza, di mettere sotto controllo i centri nevralgici dello Stato, isolando la Piazza Rossa e gli altri centri strategici del potere moscovita.
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E’ ovviamente presto per dire se siamo di fronte alla frantumazione del potere putiniano, ma il padrone del Cremlino, qualunque mossa decida, ne uscirà comunque indebolito, basti pensare che lo sforzo bellico russo in Ucraina è sostenuto anche grazie alle risorse minerarie provenienti dal Sudan, un Paese che la Russia controlla esclusivamente grazie a Wagner, così come gli uomini di Prigozhin hanno un ruolo fondamentale nel controllo dei flussi migratori dalla Libia, arma impropria che Putin sta usando per mettere in difficoltà l’Europa. Se lo zar decidesse di sostituire il ministro Shoigu, per lui sarebbe un boomerang, perché significherebbe che il Cremlino prende ordini dal capo della Wagner. Ma il centro operativo delle operazioni in Ucraina è attualmente in mano ai mercenari, e una trattativa col suo ex “cuoco” sembra inevitabile. Anche perché Prigozhin ha abilmente evitato di attaccare direttamente Putin, definendolo vittima della disinformazione dei suoi vertici militari. Una situazione di grande incertezza, insomma, che preoccupa le cancellerie europee, perché le conseguenze dell’eventuale destabilizzazione russa sono indecifrabili. C’è la possibilità, infatti, che a Mosca prevalgono i falchi più falchi dello zar, con un ulteriore inasprimento sia della guerra in Ucraina che della tensione con l’Occidente.
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