Tanto tuonò che piovve, dicevano i nostri nonni. Ma quella che cade sulla testa della presidente del Consiglio è una pioggia primaverile, di quelle che non fanno nessun danno e, al contrario, risvegliano la natura. Il procuratore Lo Voi le ha invitato un avviso di garanzia per la vicenda dell’arresto, scarcerazione e riaccompagnamento a casa del boia libico Almasri. Le ipotesi di reato sono di favoreggiamento e peculato, a scelta del lettore quale sia la più ridicola. Inutile dare addosso a Lo Voi.
Egli ha dovuto agire in relazione di una denuncia presentata dall’avv. Luigi Li Gotti. In Italia, per chi non lo sapesse ancora, c’è l’istituto dell’obbligatorietà dell’azione penale, questo sì da riformare e forse proprio da cancellare. La destra sbaglia bersaglio quando ricorda che questa iniziativa rende ancora più urgente la separazione delle carriere dei magistrati: non c’entra un tubo con la vicenda Almasri e con l’iniziativa “dovuta” di Lo Voi.
Due brevi riflessioni. La presidente del Consiglio, con la consumata abilità che tutti le riconoscono, ha registrato un breve video per ribadire che lei non è ricattabile. Che cosa c’entra il ricatto e la ricattabilità con Almasri e i reati contestati? Nulla, però fa sempre molto effetto ribadirlo. Diciamo che Lo Voi ha alzato la palla per lo smash e Meloni, come Sinner, difficilmente lo sbaglia. Lo Voi ha dovuto procedere con gli avvisi a Meloni, Piantedosi, Nordio e Mantovano perché la denuncia di Li Gotti investe le responsabilità di quei ministri e del delegato ai servizi.
Una seconda riflessione. La vicenda Almasri non ha alcun risvolto giudiziario e quindi è destinata a esaurirsi come ogni bolla di sapone. Attenzione, però: il profilo politico della vicenda c’è e trascurarlo sarebbe un errore imperdonabile di Meloni. Il cavillo giuridico – la mancata consultazione del ministro Nordio con la Corte penale internazionale e, di conseguenza, la decisione della Corte d’Appello di Roma di chiedere la scarcerazione di Almasri – è in realtà un macigno politico. Lì si annida una responsabilità politica – politica, non giudiziaria – del ministro della Giustizia.
Ricordiamo una vicenda, diversa ma politicamente simile. Il giorno di Ferragosto del 1977 fuggì dal Celio, dove era stato ricoverato, Herbert Kappler, riconosciuto come uno dei responsabili dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. L’episodio divenne un caso politico e parlamentare. In capo a qualche giorno il titolare della Difesa, il democristiano Vito Lattanzio, si dimise e la vicenda si chiuse senza conseguenze sul piano giudiziario. Per dire che la politica, quando sa assumersi le proprie responsabilità, taglia la strada a qualsiasi iniziativa giudiziaria. Si dirà: altri tempi, altra classe politica. È così, purtroppo.
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