Il 6 novembre è stato proiettato alla Camera dei deputati, alla presenza del Presidente della Camera Francesco Fontana, il debutto alla regia di Luca Telese che ha portato al Festival del cinema di Roma il docufilm Stato di Grazia, una delle pagine più controverse della giustizia italiana. Già presentato alla Biennale di Venezia e al Roma Film Fest, il docufilm aveva conquistato il pubblico guadagnandosi applausi e standing ovation.
Al termine della proiezione proposta alla Camera, abbiamo intervistato il regista e giornalista romano, che ci ha raccontato il dietro le quinte del set, e non solo. Nella VIDEO INTERVISTA a Luca Telese, anche una breve apparizione del celebre attore italiano Lorenzo Flaherty, che nel film interpreta il Pubblico ministero, della moglie di Ambrogio Crespi, Helen Pacitto, e i loro due bambini, presenti anche loro nella pellicola.
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Luca, ti aspettavi questa enorme ondata di solidarietà nei confronti di Ambrogio Crespi?
“È buffo perché noi sul lavoro siamo molto maniacali, soprattutto lui – afferma, riferendosi ad Ambrogio Crespi, protagonista del docufilm – Siamo partiti facendo questo giro d’Italia, erano i sei premiati di questa serata che si svolge alla Borsa di Milano, e di ognuno dovevamo fare un video. Quindi siamo partiti da Nola insieme, siamo arrivati fino al Trentino-Alto Adige dove ci sono quelli che fanno il nocciolato e sono premiati.
Durante questo bellissimo viaggio in Italia, a un certo punto abbiamo litigato su una musichetta che si metteva di sottofondo. Inizialmente parte la frizione, ed io ho detto “non capisci un cazzo, sei un incompetente. Non voglio più avere niente a che fare con te non lavorerò mai più con te“, e poi sono finito pure a fare un film innocentista, e gli ho detto “cavolo mi devi far accendere un cero”.
Io personalmente non avevo mai fatto il regista, lui lo era e mi diceva “no questa cosa non si fa così”, “ma chi lo dice?, “Io”. Era un cortocircuito – e quindi alla fine gli ha detto – “tu sei imputato, regista, vittima e protagonista, quindi non rompere il cazzo”.
Dunque la passione per la regia te l’ha fatta scattare Ambrogio dopo quella litigata?
“Era uno sporco lavoro e qualcuno doveva farlo. Io l’avrei mai potuto fare da solo è serve obiettivamente competenza tecnica, che lui ha, per questo mi ha guidato.
Gli ho distrutto un drone (era il suo preferito) a Cagliari: doveva esserci una scena su quel bellissimo albergo Miramare, a un certo punto volevo fare questa scena del drone che saliva sul terrazzo verso il cielo. Qui il drone è caduto e si è distrutto, “dai calcoliamolo come una vittima collaterale”, ho detto. Lui non era contento.
Quando hai saputo della grazia parziale concessa dal presidente della Repubblica, come l’hai presa? Te lo aspettavi?
“Non ci credevo. Sono entrato in questa storia con tutto il mondo che mi diceva di tenermi lontano dalla vicenda. Quando ho poi letto il bellissimo libro di De Freo, per l’allenatore di baseball americano appassionato di diritto, il primo che si è letto le carte e che ha fatto quel libricino che cito nel film, ho detto “non è possibile” e mi sono letto tutte le carte e alla fine non c’era, cioè quest’uomo c’era e non c’era.
Quindi la grande domanda che per rispetto ho lasciato allo spettatore: “perché, quando c’è quel pezzo del verbale cui è chiaro che il Pm capisce che lui si è inventato tutto, non lo mette fuori?
Allora mi sono fatto un’idea ed ho elaborato la teoria del bastoncino di Shanghai.
Me la spieghi?
Ci sono 50 imputati, magari di questi 27-30 saranno dei grandi criminali, altri favoreggiatori, uno o due saranno innocenti. Ma se tu togli quel bastoncino sotto la catasta ti cade tutto il processo, quindi io penso che lui fosse una vittima di un’idea o di un problema della giustizia quando opera a strascico.
E poi?
Ma poi non è stata considerata la perizia di un grande studioso di dati elettorali D’Alimonte che proprio partendo dalla cosa che dice l’avvocato “ma scusate ha portato i voti di Baggio alla ndrangheta della camorra ma se poi ha preso 9 voti questo Baggio quanti ne ha portati?” Se quando si è candidato lui aveva preso 150 voti in tutta la Lombardia, come poteva portarne 2500, e poi perché nessuno è andato a controllare che questi 2500 voti non c’erano?
I voti non c’erano. E il processo?
Quindi alla fine in questo processo non c’era l’oggetto cioè, addirittura, l’assessore Zambetti nelle elezioni precedenti aveva preso più voti a Baggio. Quindi immaginate che cosa folle… E’ difficile uscirne. E questa ossessione del “ de te fabula narratur” (che letteralmente significa “è di te che si parla in questa favola”) era ciò che un po’ mi ha guidato” nel redigere il film.
Intervista a cura di Martina Onorati e Laura Laurenzi
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