Spie, spioni, spiati, soffio, soffioni, soffiate: il ridicolo uccide la democrazia

L’Italia vive in un verminaio, ci ha detto il procuratore di Perugia Raffale Cantone. L’informazione, debilitata da alti livelli di ipocrisia, ci fa titoli e seriosi commenti come si conviene a una scoperta improvvisa e inattesa. Come se da Tangentopoli in avanti nessuno avesse capito che un grande orecchio ascolta tutto di noi, dalle telefonate ai rumori che si fanno in bagno. Rimedi? Nessuno, perché “un puro troverà sempre uno più puro che lo epura”, Nenni dixit. Il moralismo da tre palle un soldo sta divorando la democrazia, il più imperfetto dei regimi a eccezione di tutti gli altri.

Jean-François Paul de Gondi
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Il luogotenente Pasquale Striano, in servizio alla Guardia di Finanza, apriva il pc e accedeva a informazioni sensibili (leggi succose sul piano mediatico e, forse, remunerative sul piano monetario) custodite nelle banche dati della Procura nazionale antimafia. La vicenda parte da una denuncia del ministro della Difesa, Guido Crosetto. La procura di Perugia, competente su Roma, alza il velo e, toh, si scopre che Striano aveva fatto centinaia di accessi abusivi al sistema informatico delle segnalazioni di operazioni sospette (Sos), sbirciando negli affari e nei conti di politici e vip del mondo dello spettacolo e dello sport. Striano avrebbe consultato quei file senza averne il titolo.

Guido Crosetto
Guido Crosetto

Quante volte, figliolo? Almeno ottocento volte, padre, in due anni, tra il 2021 e il 2022. Per niente preoccupato di perdere la vista, Striano avrebbe sbirciato su conti correnti, multe, verbali, arresti, redditi, evasioni, proprietà immobiliari di vip e aspiranti vip. Gli inquirenti sono al lavoro per capire se il voyeurismo informatico dell’ufficiale fosse espressione della curiosità morbosa di un signore desideroso di alimentare la propria invidia sociale o se, invece, Striano abbia operato su commissione, al servizio di qualcuno, italiano o straniero, che quei dati ha pagato, e profumatamente, per utilizzarli in qualche modo, certo non per opere pie.

Come è stato possibile a un ufficiale infedele avere tanta libertà di accesso a una banca dati? Ha ottenuto in modo fraudolento le chiavi di accesso, oppure questa erano e tuttora sono nella disponibilità di chiunque sia in servizio alla Procura antimafia? È curioso come nel Paese più di altri dominato dalle procedure (chiunque di noi sa quanti moduli e sbarramenti vanno superati per rinnovare il passaporto o la carta d’identità) nessuno si sia preso la briga di stendere un disciplinare, semplice e di poche righe, in cui si dica che l’accesso alla banca dati della procura nazionale antimafia è possibile solo su richiesta motivata di un magistrato; che esiste presso gli uffici della stessa procura un responsabile per regolare gli accessi; che soltanto lui, o chi da lui delegato, può inserire le chiavi di accesso della cui custodia è considerato, con gli eventuali delegati, penalmente responsabile.

Quei dati, una volta estratti dalla memoria della banca,  diventano “fonte” di informazione per il magistrato il quale, una volta entratone in possesso, ne diventa perciò stesso il custode penalmente responsabile della loro riservatezza. Qui si disegna a naso una procedura, e si omettono, per incompetenza di chi scrive, altri e indispensabili passaggi. Alla fine, però, uno scheletro di interventi non può che coincidere con quanto abbiamo considerato.

Si arriva, last but no least, al punto cruciale: un giornalista che viene in possesso di quelle informazioni ha il dovere, come impone la deontologia di quel mestiere, di trasformarle in notizia o deve cestinarle? Sotto questo aspetto, la casistica si fa aggrovigliata per la gioia dei legulei. Il vostro commentatore vede così le cose: se io sono all’oscuro dell’origine di quelle notizie, e ignoro che sono state trafugate in modo fraudolento, avrei il dovere di darle. Se, al contrario, mi è nota la tendenza del mio interlocutore a trafugare dati in modo fraudolento, fare qualche riflessione supplementare.

Poi, però, un’altra domanda mi frullerebbe per la testa: perché il luogotenente Pasquale Striano mi ha telefonato per darmi notizie senza che io le cercassi? Se ha un interesse suo personale a far uscire quelle notizie, farò bene a prestarmi oppure ho il dovere di chiedergli, e di capire, perché vuole che esca quella notizia sul sig. Rossi? Perché lei è un giornalista, mi risponde, e dunque assetato, avido di scoop che tanto bene fanno alla sua carriera.

E, obietto, se vengo smentito dal soggetto vittima della notizia o un magistrato mi inquisisce per rivelazioni di atti d’ufficio? Meglio, è la replica dello Striano di turno, se dovessero verificarsi, tutti questi inciampi sarebbero un booster alla sua carriera. Insomma, più notizie darei, non importa come ottenute, non importa se danneggio tizio o caio, più potrei ricavarne benefici personali. Con buona pace dello sputtanato di turno (anche noi cardinali cediamo al linguaggio scatologico).

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