Schlein e Meloni: non basta giungere al potere, ma ridefinirlo

6 Min di lettura

Non è sufficiente essere femmina per essere femminista, ma c’è adesso una proposta di leadership alternativa

Giorgia Meloni, “il signor Presidente del Consiglio”, esemplifica il contrario dell’assioma femminista per eccellenza che di questi tempi, fatti di vestiti-manifesto, vale la pena ricordare: non basta esser femmina per essere femminista. Rileggere la Storia ha significato incollare irrimediabilmente le sole donne al femminismo e ha assegnato loro la responsabilità diretta di educare e porre il cambiamento: una sofisticata arma di deresponsabilizzazione di un genere oppressore, quello maschile, e di ingiusta responsabilizzazione del genere oppresso, quello femminile.

Schlein su Meloni: “Leadership inutile per le donne”

Non basterà neanche Elly Schlein a ridisegnare lo spazio politico italiano, facendolo convergere verso istanze inedite – istanze, quindi, femministe – come lei ha già dichiarato più volte di possedere. Nel farlo, si è anche premurata di tracciare una spessa linea di demarcazione con la premier: “Non ce ne facciamo nulla di una premier donna che non difende i diritti delle altre donne, a partire da quelli del proprio corpo. Giorgia Meloni guida un partito che relega le donne al ruolo di welfare vivente: questo la rende una leadership inutile per le donne”, dichiarava in un’intervista al giornale Il Resto del Carlino prima ancora delle elezioni di settembre.

Una donna al potere

È comune raccontare le vittorie targate al femminile con eccessivo entusiasmo, salvo poi non rendere loro giustizia sul piano linguistico. Nel caso della leader di Fratelli d’Italia, come in quello di Elly Schlein, si parla di ‘una donna’ al potere. Cantare vittoria per una donna su una poltrona non costituisce né una vittoria femminista né politica. La scelta della sintassi confina la persona a uno stato di indefinitezza, che non è solo linguistica, se si vuole considerare il linguaggio come l’infrastruttura della realtà. Da una lettura profonda, emerge quanto non si sottolinei davvero il merito – anche legittimo – di essere arrivate lì dove non’era mai arrivata nessuna, ma che si esalti la strana fortuna di non essere state escluse.

Donne escluse in un mondo naturalmente maschile

Occorre tuttavia considerare che questo è un mondo concepito come naturalmente degli uomini o, meglio, del genere maschile. Se è vero che non basta essere di un determinato genere per fregiarsi di un merito, è anche vero che è esattamente quello che è successo e succede agli uomini – anche quelli brutti, grassi e incompetenti – senza aver nessuna particolare caratteristica, se non quella di non essere donne. Ed è indubbiamente vero che questo privilegio naturalmente acquisito ha significato storicamente rinchiudere le donne in gabbie, recinti e interstizi: dai ginecei alle cucine, ai salotti, o inabissando i loro valori e i loro meriti.

Meloni, l’underdog di una politica sempre uguale

Lo spazio politico naturalmente maschile non è stato messo in discussione da Giorgia Meloni, anzi: la prima donna presidente del Consiglio in Italia non fa la Storia, ma ripropone gli stessi piani semantici e simbolici di potere. Conferma il potere patriarcale, invece di rovesciarlo. Presentatasi come “underdog” della politica e intestatasi i percorsi di emancipazione di donne del passato, Meloni ha compiuto una presa di potere solitaria. Meloni premier incarna una leadership già conosciuta: individualista, reazionaria e aggressiva. Nel suo manifesto c’è spazio solo per sé stessa. “Io sono Giorgia”, afferma. E prosegue dando le coordinate della sua identità: “Sono una donna. Sono una madre. Sono cristiana”. La sua presa di potere non presenta una proposta di innovazione e di contrasto al modello di leadership sempre narrato.

Schlein, la proposta di una leadership alternativa

In questo contesto Elly Schlein sfonda soffitti e recinti. Come noto, è la neoeletta segretaria di un partito sfilacciato e in crisi d’identità, che, per dirla con Renzi, adesso diventa di “sinistra-sinistra”, e recupera un pezzo di credibilità da fasce della popolazione disilluse a cui mancava rappresentazione e rappresentatività. In Schlein si intuisce la possibilità di una leadership alternativa: aperta, comunitaria e che, sì, parte da Sé, come tutti i buoni femminismi, ma che diventa collettiva: di e per tutte e tutti.

Narrazioni del potere: Schlein e Meloni a confronto

Ciò che ci è sfuggito è che arrivare al potere non costituisce di per sé una vittoria femminista o sociale in generale. Il potere, per come è raccontato adesso, è qualcosa che possiedono pochi e sempre gli stessi. Schlein vuole proporre una politica “femminile e femminista” e, in questo caso, ha senso avere pazienza e lasciarla lavorare.  Non conta giungere al potere, ma abitare il potere per ridefinirlo. Questa l’estrema lezione del femminismo. Questo ciò che divide Elly Schlein da Giorgia Meloni.

© Riproduzione riservata

Condividi questo Articolo