Russia, Europa, Stati Uniti: tre elezioni che possono ridefinire il destino della democrazia

A marzo si vota in Russia e Vladimir Putin è il candidato unico. L’unico possibile avversario, Navalny, lo ha rinchiuso in un lager in Siberia. Dal 6 al 9 giugno si vota per il rinnovo del Parlamento europeo: appuntamento cruciale per decidere lo scontro fra sovranisti ed europeisti. A novembre, infine, negli Stati Uniti si deciderà il destino delle democrazie occidentali così come le conosciamo dal 1945. Trump-Biden è la “sfida“ che tutte le altre ricomprende

Jean-François Paul de Gondi
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 Si comincia a marzo, con la Russia che rinnoverà il suo plebiscito a Vladimir Putin, candidato unico alla presidenza della Repubblica visto che il solo avversario, Aleksej Navalny, ha provveduto a confinarlo in un lager in Siberia. Nulla di nuovo è lecito attendersi da quel voto, forse qualche sorpresa, se mai ne sarà data notizia, potrà venire dai dati sull’affluenza, unico termometro rimasto agli analisti per misurare la popolarità del più longevo degli autocrati, anche della stagione comunista.

putin
Putin revoca ratifica CTBT

La vera partita politica, quella che potrà ridefinire gli equilibri nel mondo occidentale e, di conseguenza, le relazioni internazionali è quella che si giocherà fra le due sponde dell’Atlantico. Fra il 6 e il 9 giugno i 27 Paesi dell’Unione europea voteranno per rinnovare il Parlamento. A novembre, il primo martedì, gli Stati Uniti decideranno se “Jo” Biden può continuare con un nuovo mandato oppure se Donald Trump può tornare alla Casa Bianca senza bisogno di un nuovo assalto a Capitolo Hill.

Da questi due passaggi dipende la direzione di marcia delle democrazie occidentali nei prossimi anni. Gli schieramenti delle forze in campo sono definiti: l’America isolazionista di Trump, una potenza che si ripiega sulla propria storia, in aspra competizione con l’Europa, indulgente verso i regimi dispotici, stanca di sostenere l’Ucraina e pronta a guerre commerciali. Mal tollerante verso le regole della democrazia e incline a ogni possibile scorciatoia istituzionale. Dall’altra parte Biden. Avanti negli anni, quando si ricandiderà avrà 82 anni, contro i 78 del suo avversario: giusto un mandato di differenza. L’America in ritirata dal globo per concentrarsi sul rilancio interno, per riportare molte delle produzioni delocalizzate nel corso degli anni ai quattro angoli del mondo, è quella amministrata da Trump fino al 2020. In un clima, per la verità, di scarso entusiasmo popolare.

Congresso Usa contro Donald Trump
DONALD TRUMP

Il disprezzo per le procedure e i frequenti scontri con il Congresso una volta tornato ai democratici, hanno lasciato il segno in un Paese mai tanto diviso nella sua storia. Putin non si lascerà distrarre dalla guerra in Ucraina, perché le interferenze russe, in America ma anche in Europa, sono una costante degli ultimi anni, e avere Trump alla Casa Bianca significherebbe per il despota di Mosca contare su un avversario disponibile al compromesso, indifferente alle sorti dell’Ucraina almeno quanto a quelle dell’Europa.

Sullo sfondo di simili scenari, tutti poco rassicuranti per le sorti del Vecchio Continente, si intuisce facilmente l’importanza della posta in gioco con il voto europeo. Le forze sovraniste, è vero, non hanno più il vento alle vele come era accaduto nel 2019. Valga per tutte la forza della Lega in Italia, fortemente ridimensionata dopo l’exploit del 2019 che la portò a sfiorare il 34%. La vittoria in Polonia di Donald Tusk, popolare, ex presidente del Consiglio europeo e la sconfitta del sovranista Morawiecki, così come in Spagna la débâcle di Santiago Abascal e della sua Vox, hanno fortemente ridimensionato le ambizioni di quel fronte. Senza per questo rinsanguare le forze tradizionali. I socialisti sono in sofferenza un po’ ovunque mentre in buona salute sembrano i popolari e i liberali.

Donald Tusk
Donald Tusk batte i populisti alle elezioni in Polonia

È all’interno di questo puzzle di forze che si lavorerà per definire i nuovi equilibri politici nell’Unione. Una riconferma dell’attuale maggioranza, allargata o aperta ai conservatori di Giorgia Meloni, sembra essere l’ipotesi più probabile. Il voto di giugno, però, appare sempre più come l’ultimo bivio nella storia europea. Se le forze sovraniste usciranno indebolite, i partiti tradizionali, quelli che incarnano lo spirito della democrazia liberale, non potranno più vivacchiare attorno al progetto europeo. Dovranno correre, e molto, per dare respiro alla democrazia, combattere le diseguaglianze sociali la cui crescita ha coinciso con la crescita delle forze populiste, come si è visto in Italia. L’unica cosa che non è consentita è rimanere fermi. 

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