Sotto l’ombrellone, si sa, la politica esaspera la vocazione al gossip. Le battaglie estive
diventano più cartacee che nel resto dell’anno. Ecco allora gli spifferi che soffiano nei
corridoi semideserti di Montecitorio per spegnersi all’ingresso del Palazzo e planare sul
taccuino del cronista. Si prenda Azione, il fu socio del Terzo Polo, morto e sepolto
anche se Enrico Costa e Luigi Marattin si ingegnano con qualche seduta spiritica di
richiamarlo in vita. Carlo Calenda dovrebbe perdere il sonno, sfogliando le cronache
secondo le quali da qui a settembre dovrebbe ritrovarsi solo. Tutti, e tutte, in uscita.
Costa, Gelmini, Carfagna, Versace.
Uscirebbero tutti, per andare dove nessuno lo sa. Nemmeno i diretti interessati. Per dire: Mariastella Gelmini, un tempo capa assoluta di Forza Italia in Lombardia, non dovrebbe avere problemi a tornarsene a casa. Invece… Secondo alcune indiscrezioni, pare che su di lei e su Mara Carfagna ci sia il veto della “famiglia”, laddove si intende con quella parola la famiglia Berlusconi. Troppa disinvoltura nei loro atteggiamenti, sarebbe il rimprovero, e poi l’acredine e l’animo malmostoso con cui Gelmini, in quel di Napoli, rinfacciò al leader il suo atteggiamento
su Putin e sulla guerra appena iniziata in Ucraina.
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Carfagna è stata una risorsa mediatica, spendibile e bene spesa nei talk show. A tal
punto che la diretta interessata ha finito per confondere gli indici d’ascolto con
l’autorevolezza politica fino a mettersi in proprio con quella corrente “Voce libera” che
tanta irritazione aveva provocato nel Cavaliere. Se poi si pensa che una volta passata
con Calenda è stata eletta in Puglia non avendo un voto che fosse uno in Campania,
dove è sempre stata terza o quarta dietro i Martusciello e i Russo, è facile intuire che da
un suo eventuale rientro non verrebbe alcun beneficio a Forza Italia.
La smania di uscire da Azione è talmente forte che un tentativo è stato fatto anche con
Fratelli d’Italia. Meloni, si sa, può mostrarsi accogliente, nel caso di Gelmini e Carfagna,
però, si trattava di fare uno sgarbo non da poco a Tajani e alla “famiglia”. La cosa pare
essere stata congelata con la semplice formula: le richieste sono tante, mettetevi in fila
e al momento opportuno si vedrà.
Calenda sa, osserva e alimenta il suo spirito di vendetta. Scalpitano per uscire da
Azione e non trovano casa? Vorrà dire che quando sarà il momento perderanno anche
la casa Azione. Niente ricandidatura per le due amazzoni portate agli onori delle
cronache con incarichi di vertice nel partito mentre adesso tramano per andarsene. Si
sa, Calenda non pratica la virtù dell’indulgenza mentre è sempre ben disposto a
vendicarsi contro coloro da cui ritenesse di essere stato imbrogliato (Renzi ne sa
qualcosa).
Dal leader azionista qualcuno ha sentito un ragionamento che suona più o meno così:
d’accordo, il voto europeo è andato male però quel capitale del 3-3,2% non è malaccio.
Con quella percentuale si portano una decina di parlamentari. Se poi dovesse profilarsi
un accordo onorevole (tradotto: vantaggioso) con il Pd, quel gruzzolo potrebbe
addirittura raddoppiare. Da qui la decisione: Azione non si smuove da dove sta. Il nome
del partito diventa così un ossimoro rispetto alla strategia. In pratica: Azione ma
immobile.
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