Perché in Abruzzo non è andata poi così bene

Giuliano Guida Bardi
5 Min di lettura

Non servono grandi analisti per capire chi ha vinto in Abruzzo. È sufficiente un cronista, anche distratto. Serve più attenzione, invece, per capire che – al di là della vittoria del suo compagno di avventure – i segnali per Giorgia Meloni, per il suo governo, per il futuro del Paese non sono belli. Perché? Per queste tre ragioni.

La prima: la differenza di voti tra i due schieramenti è tale da rendere indubitabile e cristallina la vittoria di Marco Marsilio in Meloni. Ma non si tratta di una differenza di voti così schiacciante da non poter far pensare che, un domani, lo schieramento che ha perso le elezioni non possa vincerle. Cosa che era (è) semplicemente impossibile se i partiti che si oppongono alle destre vanno divisi. La consapevolezza, crescente, che per la sinistra sia indispensabile andare uniti per avere chance di battere la coalizione di centrodestra, è l’unico seme che può consentire ai progressisti di strappare il governo del paese ai conservatori.

È una novità assoluta, registrata in Sardegna prima e in Abruzzo ora. Se le diffidenze tra PD e 5stelle si affievoliscono, se la competizione interna mantiene, per l’appunto, la coscienza di dover rimanere all’interno di una coalizione, se le frange che vogliono rappresentare i moderati pur essendo litigiose (Calenda e Renzi) rimangono sedate in un’alleanza, se le sinistre di testimonianza (ma velleitarie) si accomodano ad arare, anch’esse, il vasto campo delle sinistre, potranno concorrere.

La seconda. L’affermazione non prevista di Forza Italia: la sua crescente centralità politica dopo la morte di Silvio Berlusconi è una sorpresa. Nessuno ci avrebbe scommesso un solo centesimo. Eppure, quel partito doppia la lega in Abruzzo, dopo averlo surclassato in Sardegna. Segno che gli italiani chiedono, come da ottant’anni a questa parte, un approccio moderato e non spaventevole alla politica. Chiedono quella che Norberto Bobbio chiamava ‘mitezza’. Ed è una concorrenza diretta alla linea politica del presidente del Consiglio, che cerca da quanto è stata eletta di spostare le sue posizioni al centro dello schieramento: atlantiste, europeiste, moderate e continuiste.

Si consideri poi la debacle senza ritorno di Salvini, soffocato dalle sue incertezze, sommerso dai video in cui dice una cosa e il suo contrario e poi di nuovo il contrario, nonché il fallimento della sua “Lega nazionale”. Tutto questo sospinge, fatalmente, il Presidente del Consiglio su posizioni ancorate più a destra, per dare risposte a quell’elettorato assetato di sangue migrante, purghe, ordine e manganelli, patria e famiglia (tradizionale).

Cioè costringe Meloni in un’area politica che non può espandersi, non oltre un certo limite.

La terza. Come in Sardegna la vittoria di Alessandra Todde è stata essenzialmente una sconfitta del suo concorrente, in Abruzzo la vittoria di Marsilio è stata (anche) frutto della scelta di un candidato troppo debole che gli si è opposto. È sempre più evidente che chi sceglie di andare a votare (cioè la metà dei cittadini che ne avrebbero diritto), chiede candidati rappresentativi. E i candidati rappresentativi non sono mai gli amici di provata fede, i vecchi camerati, i bravi rettori, i testimonial di quel concetto putrescente e vacuo che è la “società civile”.

Al contrario, i candidati rappresentativi sono quelli che fanno politica con i partiti e dentro i partiti. Partiti, però, in cui si vota nei congressi, non quelli in cui si nominano parenti e affini. I segnali che si colgono sono proprio quelli di un ritorno alla politica dei professionisti. Non sembra, a prima vista, ma a ben guardare, invece, sono le reti territoriali, i legami politici profondi, le strutture della prima repubblica e farsi strada. Piano piano, con difficoltà, con mille vacillamenti. Ma implacabilmente. I partiti del leader, invece, cominciano a scricchiolare.

Come fu facile prevedere a gennaio, la (tentata) nomina a senatore del proprio cavallo, non ha portato bene a Meloni ed è stata solo l’inizio di quella slavina che porterà all’ennesimo cambio di paradigma in Italia. Si aggiunga il citato compattamento della sinistra, la resipiscenza del centro che sospingerà Meloni a destra, la ridicolizzazione di Salvini, il (prossimo) crash delle riforme costituzionali così tanto pomposamente annunciate (c’è da scommetterci) e il quadro è dipinto. Tempi nuovi si annunciano.

Giuliano Guida Bardi
Giuliano Guida Bardi

© Riproduzione riservata

Condividi questo Articolo