Pagherete caro, pagherete tutto: parola di Donald Trump

Il presidente americano ha fischiato l’inizio partita sui dazi. Rullano i tamburi e gli eserciti, per ora in trincea, sono pronti a combattersi su profumi, servizi, prosciutto, parmigiano e Audi. La guerra si annuncia cruenta e di incerta durata. Trump dà l’impressione di aspettare per vedere “l’effetto che fa” la raffica di dazi sui prodotti che entrano da Messico e Canada, tutti tassati al 25%. Aspetta soprattutto di capire se l’Europa reagirà a una sola voce o al suo interno si dividerà fra intransigenti e dialoganti. Putin intanto mangia pop corn e spera di ricavare qualche utile

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Gli operatori di Borsa si sono allacciate le cinture: Wall Street viene giù di brutto, le big-tech caracollano verso il basso e Nvidia, fino alla settimana scorsa regina del Nasdaq, segna un rosso stratosferico: 800 miliardi di capitalizzazione bruciati in un’ottava. Non solo gli operatori, ma un po’ tutti, di qua e di là dell’Atlantico, dobbiamo stringere le cinture, rendere d’acciaio i nervi e avere qualche ansiolitico nel cassetto. La tariff war è iniziata e promette di essere sanguinosa. Donald Trump non sente ragioni. Vuole riequilibrare la bilancia commerciale americana, togliere quel rosso di poco più di 1000 miliardi registrato nel 2024, e, dice lui, salvaguardare la ricchezza dei suoi concittadini. Chi non vuole pagare dazi sarà ben accolto se aprirà fabbriche in America, l’unico modo per non incappare nella ghigliottina fiscale.

Non era soltanto uno slogan elettorale come noi, inguaribili ottimisti, avevamo liquidato certi suoi comiziacci. Ha scelto la strada dello scontro, è determinato a regalare all’America una nuova golden age, e non bada a spargimenti di sangue per farlo.

Lanciata la sfida, però, Trump si trova, come cantava Enzo Jannacci, a vedere l’effetto che fa. E fa un effetto davvero brutto. Messico e Canada, le prime vittime della nuova politica doganale, potranno esportare verso gli Stati Uniti solo pagando il 25% di dazi. Si tratta, in pratica, di far lievitare il costo del bene di un quarto del suo valore di mercato, rendendolo inaccessibile per alcuni milioni di americani. La spregiudicatezza di Trump ha diversi risvolti, e non tutti positivi per i consumatori. Intanto c’è da mettere in conto un sicuro impatto sull’inflazione domestica. Se si considera che dal Messico arriva tutta o quasi la frutta esotica che si consuma nelle tavole a stelle e strisce è facile capire quanto quei prodotti spariranno da molte tavole. Le aziende esportatrici vengono messe davanti al bivio: o accettare un drastico calo delle esportazioni, oppure abbassare i costi della materia prima così da rendere meno onerosa l’imposizione fiscale. Si tratta in ogni caso di trasferire sugli esportatori l’onere della competitività della merce e tutelare in questo caso i consumatori.

A guardare dentro il paniere delle importazioni americane non è difficile scoprire che le voci rilevanti, almeno per quanto riguarda l’Unione europea, hanno molto a che fare con il fashion style, sia a tavola o nell’abbigliamento. Beni non esattamente di prima necessità, ma sicuramente di prima qualità, accessibili all’americano che abbia una capacità di reddito di almeno 100 mila dollari/anno. È il vituperato ceto medio e non certo i blue-collar quella parte dell’America che dovrà caricarsi i sacrifici cui accennava per la prima volta Donald Trump. Quella middle class scontrosa e too choosy per votare per di carota è rimasta affezionata al partito democratico, almeno in alcune aree metropolitane. Non a New York, un tempo la Toscana o l’Emilia Romagna dei democratici caduta fra le braccia di Trump.

A guardare dentro le scelte rapsodiche e solo in apparenza incomprensibili, si scoprono verità semplici, perfino banali sulle intenzioni della nuova amministrazione, Trump vuole erodere stabilmente la constituency democratica, operare un travaso di consensi e renderlo irreversibile per chi verrà dopo di lui. È questo, in fondo, il suo disegno più ambizioso, e quello più insidioso da fronteggiare per il futuro candidato democratico. Da un altro versante della storia, Trump ha evocato un grido di guerra contro alleati e avversari, non troppo diverso da quello che accompagnava le manifestazioni di Lotta continua nell’Italia degli anni Settanta. “Pagherete caro, pagherete tutto”, dice oggi a europei, cinesi, canadesi, messicani. Pagheremo caro, certamente. Tutto tutto, sarà da vedere.

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