Meloni cede alle sirene del sovranismo: Von der Leyen rieletta alla guida dell’Ue, no da Lega e FdI, a favore Forza Italia

La presidente del Consiglio è caduta all’ultimo miglio di un percorso che l’aveva vista protagonista di una trattativa complicata ma costruttiva su Green deal e l’immigrazione da affrontare con un commissario ad hoc e come questione da affrontare in termini comunitari e non più nazionali. Alla fine, però, tra la sfida estremista di Salvini e il sì al bis di von der Leyen che l’avrebbe proiettata sulla scena europea, ha preferito difendersi dalla Lega. Forza Italia ha salvato la memoria e il ruolo “europeo” di un Paese fondatore. Per l’Italia si complicano le altre partite in Europa.

Jean-François Paul de Gondi
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La delegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo ha votato contro la ratifica di Ursula von der Leyen, nominata presidente della Commissione dal Consiglio europeo in cui la premier Giorgia Meloni si era astenuta. Le motivazioni del voto contrario, il primo di un governo italiano alla presidenza della Commissione, le ha fornite il capo della delegazione Carlo Fidanza.

La premier Meloni si era astenuta al Consiglio europeo contestando il metodo e il merito e in particolar modo che si continuasse a fare finta che non si fossero tenute le elezioni europee. In realtà il voto di oggi va ancora una volta in questa direzione. Oggi determina una maggioranza che non è quella che hanno chiesto i cittadini europei, è un accordo all’interno di quest’aula, naturalmente un accordo legittimo sul piano democratico, della dinamica parlamentare, sul piano politico, ma non è assolutamente quel segnale di discontinuità che Giorgia Meloni ha ritenuto necessario evidenziare proprio astenendosi nell’ambito del Consiglio Europeo”.

Si tratta, con ogni evidenza, di una bocciatura politica di von der Leyen, un voto contrario e senza appello perché le procedure seguite e la maggioranza costruita attorno al “bis” della candidata Cdu non hanno portato, a giudizio di Fidanza, a quel cambiamento di linea politica che, a giudizio suo e di Meloni, era stato chiesto dagli elettori europei.

La maggioranza Ursulaè stata confermata con 401 voti, esattamente i voti dei gruppi del Ppe, Renew, S&D, Verdi. Con il voto contrario, Meloni ha conservato la compattezza del gruppo dei conservatori salvaguardando da un lato la propria leadership politica ma, dall’altro lato, sottovalutando le ripercussioni che sul piano istituzionale possono venire all’Italia dal momento che il partito di maggioranza relativa si trova all’opposizione della maggioranza europea.

La memoria storica di un Paese fondatore e il ruolo dell’Italia sono stati così affidati ai parlamentari di Forza Italia, partito europeista in una maggioranza di governo che ha visto riuniti Salvini e Meloni nel no a von der Leyen. È stata una partita drammatica in cui il governo italiano è entrato dalla porta sbagliata. Se era comprensibile l’ambizione di Meloni di veder riconosciuto un ruolo accresciuto all’Italia e al suo governo, meno comprensibile era la sua pretesa di far pesare i consensi raccolti dai partiti dell’Ecr nei diversi Paesi. Su questo snodo si è creato un equivoco mai risolto.

Le maggioranze che si formano al Parlamento europeo, e si parla di un dato costante nella sua storia da quando fu eletto la prima volta, nel 1979, solo in parte si formano sulla somma dei consensi ottenuti dai singoli partiti della stessa famiglia politica. Più forte è il cemento europeista e la vocazione istituzionale a determinare la formazione di una maggioranza. Se la trattativa fosse stata condotta dalla presidente del Consiglio invece che dalla presidente dell’Ecr, molto probabilmente l’esito sarebbe stato diverso o comunque tale da non pregiudicare un futuro avvicinamento delle posizioni.

A Meloni non si può negare la tenacia nel perseguire i suoi obiettivi. Si può immaginare che almeno in questa occasione le sia capitato di presumere troppo dalla sua forza politica e dalla sua abilità. Al tavolo di Bruxelles si tratta secondo regole diverse che a Roma, ma si tratta soprattutto partendo da un retroterra consolidato di valori e mossi da un comune traguardo quale è il rafforzamento delle istituzioni comunitarie. È un alfabeto politico ancora scarsamente famigliare a Giorgia Meloni ma a cui farà bene ad abituarsi.

Certo, dopo il voto contrario a von der Leyen e il cedimento alla sirene sovraniste, la partita europea per l’Italia si mette in salita. Hanno ragione Fidanza e Procaccini quando rivendicano per l’Italia un portafoglio di peso, adeguato e rispettoso del ruolo storico di un Paese fondatore. Giusto. Ma come si può difendere il peso istituzionale dell’Italia e, insieme, rivendicare autonomia politica e di giudizio sulla Commissione che deve riconoscere il peso istituzionale dell’Italia? È in questo nodo irrisolto che si è consumato il naufragio al Parlamento europeo.

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