Merita la citazione integrale questo passo dell’intervento di Giorgia Meloni in video-collegamento con l’assemblea dei Conservatori americani: “C‘è una crescente consapevolezza in Europa che la sicurezza è ora la massima priorità. Non puoi difendere la tua libertà se non hai i mezzi o il coraggio per farlo. La felicità dipende dalla libertà e la libertà dipende dal coraggio. Lo abbiamo dimostrato quando abbiamo fermato le invasioni, conquistato le nostre indipendenze e rovesciato i dittatori. E lo abbiamo fatto insieme negli ultimi tre anni in Ucraina, dove un popolo orgoglioso combatte per la propria libertà contro un’aggressione brutale. E dobbiamo continuare oggi a lavorare insieme per una pace giusta e duratura. Una pace che può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership”.
In queste righe si riassume meglio che in altri punti lo sforzo dialettico della presidente del Consiglio. Non era facile affrontare una circostanza come l’assemblea dei conservatori americani infuocata ieri dal saluto in stile nazista di Steve Bannon e contestato in modo clamoroso da Jordan Bardella, il pupillo di Marine Le Pen, che per quel motivo ha rinunciato al suo intervento. Meloni sapeva di camminare sui carboni ardenti, di rivolgersi a una platea sedotta dal trumpismo e dai suoi sacerdoti Bannon e Musk. Sa anche, però, del disagio crescente nei gruppi repubblicani, al Senato e al Congresso, da cui cominciano a levarsi le prima voci di critica a Trump, e sono sempre meno isolate.
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Meloni è stata abile, le va riconosciuto. Ha dato il giusto a Trump, e ha difeso il ruolo dei conservatori sulle due sponde dell’Atlantico senza mai cedere alla facile retorica. Ha evitato gli squilli di fanfara, tentazione sempre in agguato quando si tratta di strappare facili applausi. Se la prima parte del suo intervento è stata, per così, quella doverosamente encomiastica, è nel seguito che Meloni ha sfoggiato il meglio della sua abilità politica. Ha usato in abbondanza la figura retorica della preterizione, “non dico per dire e dico per non dire”. Rovesciare la logica dei dazi e accusare chi li mette perché mettendoli fa il gioco degli avversari non era scontato. Come non era scontata la difesa della resistenza del popolo ucraino contro l’aggressione russa. È vero: non ha citato Zelenski, e questo è stato un cedimento a Trump. Quanto alla pace, però, non era facile mettere in fila quei due aggettivi “giusta e duratura” sapendo quanto il primo possa mandare in bestia Trump e Putin. Per chiudere quel capitolo con un richiamo quasi polemico: la pace ha bisogno del contributo “di tutti” e dunque non è un appannaggio dei soli Putin e Trump.
Quanto all’Occidente, al perimetro di quella che si considera l’area della democrazia e della libertà per eccellenza, Meloni ha alzato lo sguardo oltre le polemiche infuocate scatenate dai dioscuri del trumpismo, con l’eco dell’irricevibile discorso di JD Vance a Monaco. “L’Occidente esiste perché c’è l’America, anzi le Americhe (allusione al Golfo dell’America) ma esiste perché c’è anche l’Europa”. È stato un esercizio di equilibrismo in qualche passaggio, con qualche opacità, ma sarebbe ingiusto non riconoscere che la prova tanto temuta è stata superata senza riportare danni. Per sé o per l’Europa.
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