È accaduto quel che doveva accadere, nella misura in cui pochi si aspettavano che accadesse. Le destre ultranazionaliste sono cresciute oltre ogni immaginazione, aprendo una ferita sanguinosa nei due Paesi, Francia e Germania, motore di ogni equilibrio in Europa. Il Rassemblement nationale di Marine Le Pen è il primo partito in Francia, Alternative für Deutschland, di ispirazione neonazista, è la seconda forza in Germania, dietro quel bastione inespugnabile che è la Cdu-Cdu.
Il panorama politico europeo, all’indomani della lunga notte elettorale, appare devastato e pieno di macerie. Con le forze tradizionali, come la Spd di Olaf Scholz, che sembrano pagine sgualcite e accartocciate di una vecchia rivista. Lo tsunami ultranazionalista ha travolto argini, speranze e antiche certezze e il sogno europeo appare, in quest’alba del 10 giugno, svanito con la luce del giorno. Ci siamo svegliati dentro quel paesaggio politico da molti temuto, da tanti sperato, da nessuno immaginato nelle sue reali dimensioni.
Giorgia Meloni ha ulteriormente incrementato i suoi consensi, la sua leadership appare inscalfibile protetta dal 29% dei consensi. Un risultato pagato in larga misura da Matteo Salvini, il cui 34% di cinque anni è stato svuotato dalla calamita Meloni. (la Lega poco sopra il 9%). Oltre ogni attesa è andato il Pd di Elly Schlein, vicino al 24%, risultato raggiunto a spese del M5S ridotto a poco più del 10%. Premiati oltre ogni attesa i Verdi e la sinistra di Fratoianni e Bonelli, accreditati del 6,7% . Pagano pegno per le loro ambizioni sbagliate Matteo Renzi e Carlo Calenda: si sono autoaffondati e ridotto a un deserto lo spazio liberal-riformista: entrambi sono rimasti sotto lo sbarramento del 4%.
L’onda dell’ultranazionalismo è stata travolgente da Parigi a Berlino. Il principale partito di governo, la Spd di Olaf Scholz, è uscita a pezzi dalle urne, quasi doppiata nei consensi dal partito neo-nazista di AfD. Le Pen ha più che doppiato Renew di Macron. La sola notizia che può rinfrancare le sinistre arriva dalle rive della Senna: il Partito socialista che fu di Mitterrand e portato ai funerali da Holland sembra tornato in vita dopo la cura di René Glucksmann con il suo 12%.
Un dato che sarà da approfondire riguarda i Paesi un tempo “dell’Est Europa”. Da Varsavia a Budapest, da Bucarest a Praga, cioè nelle capitali dove più insidiosa era la penetrazione dei nazionalisti, il voto ha premiato le forze del Ppe e di Renew Europe. Per dire che se la maggioranza Ursula avrà un secondo tempo il merito è dei Paesi minori dell’Unione.
E Ursula von der Leyen è stata la prima a prendere la parola, con lo spoglio ancora in corso. Per dire due cose: il Ppe rimane l’argine a ogni estremismo; il dialogo con i liberali e i socialisti rimane il fulcro di una futura maggioranza. Maggioranze alternative, per esempio di centrodestra, non sono possibili per la matematica: dovrebbero imbarcare AfD per sfiorare appena 370 voti, quando la maggioranza richiesta è di 361. La maggioranza attuale dispone di 407-408 voti, anch’essi appena sufficienti vista la tradizionale fluidità delle maggioranze parlamentari a Strasburgo.
In campagna elettorale sono stati pronunciati tutti gli anatemi possibili e “mai” con questo o con quello lo hanno detto Meloni e Schlein, Macron e Scholz. Svuotate le urne e contate le schede, tutti sono ora chiamati a guardare in faccia la realtà. Ci vuole del tempo, perché trasformare “mai” in “forse” è sempre un’operazione politicamente rischiosa. Nel caso dell’Europa, però, appare inevitabil