Succede un po’ come con l’allineamento dei pianeti. Quando si verifica, tutti temono eventi straordinari, sconvolgimenti sulla Terra, cataclismi o catastrofi d’ogni genere. Giorgia Meloni vede allineati tanti dossier depositati sul suo tavolo per una serie di circostanze solo in parte da lei provocate più spesso, invece, subite. Le dimissioni mai pervenute di Daniela Santanchè sono diventate uno dei punti d’attacco preferito dalle opposizioni. Il suo rinvio a giudizio, al pari di quello disposto per il sottosegretario Andrea Delmastro, è una ferita aperta nell’esecutivo. Sulla vicenda, però, la maggioranza è attraversata da una divisione netta: Salvini, infatti, difende la ministra con ciò rendendo difficoltosa l’opera di moral suasion di Meloni e dei Fratelli d’Italia. Né si è scomposta l’interessata quando lunedì 10 febbraio il dibattito sulla sua vicenda si svolto in un’Aula deserta, soprattutto nei banchi della maggioranza: un’immagine plastica e drammatica della distanza messa nei suoi confronti.
Il caso del torturatore libico si è ulteriormente complicato. La notifica di un’indagine della Corte penale internazionale a carico del ministro Nordio, che la legge istitutiva vuole interlocutore unico della Cpi, è il segnale che la vicenda è lontana dalla sua conclusione. E gli strascichi in sede parlamentare promettono di essere di non poco conto. Per restare in tema di giustizia, avrà pure un significato la conferma dello sciopero proclamato per il 25 febbraio. Il significato sta nei nuovi vertici del sindacato magistrati. Il presidente, Cesare Parodi, è un esponente di punta di Magistratura Indipendente, la corrente di destra dell’Anm, e non c’è stato nessun cambio di linea riguardo alla separazione delle carriere, provvedimento avversato anche da Parodi.
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Le ombre non sono meno dense se si guarda ai rapporti interni alla maggioranza. Salvini è tornato ad agitare la bandiera della “rottamazione” delle cartelle fiscali, misura che lascia fredda la Meloni, mentre dai gruppi di Fratelli d’Italia si rilancia la palla nel campo della Lega osservando che Salvini deve indirizzare la sua richiesta al ministro del suo partito, Giorgetti, custode inflessibile dei saldi di bilancio. Alla rottamazione si oppone anche Forza Italia. Tajani è del parere che se per qualche miracolo dovessero trovarsi delle risorse meglio sarebbe utilizzarle per tagliare l’aliquota fiscale dal 35 al 33%, cioè quella fascia in cui sono ricomprese le capacità di reddito del ceto medio.
Si tratta, nel caso delle tasse, di una questione per Meloni più agevolmente risolvibile essendo tutta interna alla maggioranza e, come già in passato, tale da portare a un qualche compromesso. Sul terreno della giustizia, invece, le cose sono più complicate, dopo che la vicenda Almasri ha acquisito una dimensione europea e dunque solo in parte nella disponibilità della maggioranza. L’elenco delle difficoltà sarebbe largamente incompleto se si omette la vicenda del centro migranti in Albania. Dopo una sequela di tre bocciature della magistratura, con il risultato di tre viaggi di ritorno in Italia degli immigrati colà trasferiti, il governo ha scelto di incaponirsi fino a ipotizzare la loro trasformazione da Centri di accoglienza per richiedenti asilo in Centri di permanenza per il rimpatrio. Se così sarà, significa che le domande di asilo verrebbero controllate in Italia e solo dopo la decisione della Corte d’Appello di rimpatrio, l’immigrato verrebbe trasferito in Albania. Una soluzione alquanto rocambolesca, da spiegare più con la preoccupazione del governo di giustificare le spese sostenute in Albania che con la sua funzionalità ed efficacia.
Sullo sfondo, ma non del tutto visto che si fa avanti al ritmo indemoniato caro a Trump e Musk, si colloca il problema dei rapporti in Europa e dell’Europa con la nuova amministrazione americana. Gli ordini esecutivi firmati da Trump cadono come vere e proprie mannaie sulle relazioni internazionali. I dazi del 25% sulle produzioni di acciaio e alluminio da qualunque parte provengano (ma non è ancora chiaro se sul prodotto grezzo o anche su quello lavorato) colpiscono l’Italia e il resto dell’Unione. Vero è che la quantità di export italiano negli USA è quasi irrilevante (si tratta di 2,4 miliardi di euro) ma la consistenza dei dazi finisce impatta per circa 600 milioni di euro che sarebbero a carico delle aziende esportatrici. Il succo politico, però, è altro. Cade la narrazione di una Meloni “mediatore” fra Europa e Stati Uniti grazie a un’affinità politica con Trump. Il quale ha dimostrato che in fatto di soldi non conosce né amici né alleati.
Bruxelles rimane la sede adeguata, per Meloni, dove tutelare al meglio gli interessi dell’Italia. E un più stretto legame con la Commissione diventa anche il miglior salvacondotto contro le intemperanze di un Trump imprevedibile. E in Europa Meloni potrebbe trovare le sponde migliori per chiudere anche qualche spinosa domestica. Uscire da Twitter o da Facebook, tornare a contatto con la quotidianità del Paese può comportare qualche sacrificio d’immagine, ma rimane pur sempre la via maestra per riconciliarsi con la realtà e governarla con meno affanno.
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