Lo stato della giustizia italiana è fotografato dai numeri: sei milioni di cause pendenti, più di sette anni per concludere i processi civili, più di tre per quelli penali, mille innocenti sottoposti ogni anno a custodia cautelare, 16 mila detenuti ancora in attesa di giudizio, oltre il 60 per cento dei procedimenti prescritto prima di arrivare in aula
Lo stato della giustizia italiana è fotografato dai numeri: sei milioni di cause pendenti, più di sette anni per concludere i processi civili, più di tre per quelli penali, mille innocenti sottoposti ogni anno a custodia cautelare, 16 mila detenuti ancora in attesa di giudizio, oltre il 60 per cento dei procedimenti prescritto prima di arrivare in aula. Nel frattempo la corporazione promuove il 99 per cento delle toghe, anche quelle coinvolte negli errori giudiziari più clamorosi, dunque con un esorbitante tasso di impunità. Nonostante questo, la riforma della giustizia resta un argomento altamente divisivo, e anche in questa legislatura si prepara uno scontro rusticano tra garantisti e giacobini. Eppure le cronache giudiziarie ci offrono ogni giorno interessanti spunti di riflessione, e i primi mesi dell’anno hanno già fatto registrare almeno tre casi emblematici che vale la pena rimarcare, perché insieme formano il compendio empirico di un’autentica crisi di sistema. Vediamo.
L’ex sindaco di Trani Luigi Riserbato è stato assolto con formula piena dopo otto anni da un teorema accusatorio che lo indicava come il dominus di un comitato politico-affaristico che avrebbe pilotato gli appalti del Comune. Era stato arrestato nel 2014 e costretto a dimettersi con un danno gravissimo alla propria onorabilità e alla carriera politica, un calvario lunghissimo che non può essere cancellato dal verdetto che ha ristabilito la verità: “Otto anni per una sentenza di primo grado sono un’infinità”, ha commentato amaramente. Questa storia di ordinaria ingiustizia, uguale alle tante che hanno segnato il rapporto tra magistratura e politica, ha però un corollario giudiziario che la rende unica: il pm che lo spedì in carcere, infatti, pochi giorni prima è stato condannato in via definitiva per tentata violenza privata nei confronti di alcuni testimoni di quella inchiesta. I metodi poco ortodossi della procura di Trani erano tristemente noti, e alla fine la giustizia ha prevalso. C’è però un’evidente discrasia: i sindaci caduti nel tritacarne giudiziario sono costretti a dimettersi, mentre i pubblici accusatori restano al loro posto anche dopo una condanna.
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Il secondo caso riguarda un ex calciatore abbastanza famoso, Michele Padovano: la Corte d’appello di Torino lo ha assolto per non aver commesso il fatto dall’accusa di aver finanziato un traffico di droga tra l’Italia e il Marocco. L’aspetto kafkiano della vicenda è che si tratta di un’accusa risalente al 2006, con tanto di permanenza in carcere, e diciassette anni per avere giustizia sono un lasso di tempo interminabile e assurdo. La condanna in primo grado risale al 2011, ma nel 2021 la Cassazione rinviò gli atti alla Procura per un nuovo processo di appello. Ora è arrivata l’assoluzione, ma nel frattempo Padovano ha perso tutto: il calcio, il benessere economico, oltre agli amici tranne pochissimi, tra cui Vialli, che purtroppo non ha potuto gioire con lui. E l’incubo non è finito, perché l’accusa può ancora fare ricorso.
E’ di due giorni fa, infine, un altro clamoroso caso di malagiustizia che ha coinvolto Ezio Stati, ex consigliere regionale abruzzese, figura di spicco di Forza Italia, assolto dall’accusa di corruzione “perché il fatto non sussiste” dopo un calvario giudiziario lungo dodici anni. Per l’accusa sarebbe stato corrotto nell’ambito dell’assegnazione dei lavori per il post terremoto del 2009 e avrebbe ricevuto regali come auto, gioielli e oggetti di valore. Anche la figlia Daniela fu arrestata, e anche lei è stata assolta. Il pm ha rinunciato a presentare appello. Ma chi pagherà per questo ennesimo caso di malagiustizia? Serve altro per sostenere Carlo Nordio, il ministro che ha messo la sua faccia e la sua autorevolezza al servizio di una riforma non più rinviabile?
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