Per essere madri in Italia occorre ridiventare donne: da Hegel a oggi, la storia della discriminazione  

In Italia diventare madri è ancora difficile: nel 2022, il 73% delle neo-mamme lascia il lavoro. Dalla filosofia alla politica, come abbiamo creato la funzione sociale della maternità

Emanuela Felle
6 Min di lettura

A pensarci con impegno, è lampante quanto la storia di contrasto all’emancipazione di genere sia più interessante e corposa della storia dell’emancipazione stessa. Oggigiorno, da latitudine a latitudine geografica ed emotiva del nostro Paese, si gioca una dialettica squisitamente nonsense sulla maternità, su traguardi e ruoli e aspirazioni (se ce ne sono).

Diventare madri in Italia: il 73% dà le dimissioni

Diventare madri in Italia è semplicemente inverosimile. Esserlo, un particolare dribbling di costi ingenti, carico domestico non equamente distribuito, chimere di disoccupazione o precarietà, gravose e forzate scelte fra maternità e lavoro.  

Nel 2022, si sono dimessi 61mila neo-genitori, di cui il 73% è costituito da donne. Di queste, più della metà si è dimessa per l’inconciliabilità fra casa e lavoro. In altri casi, hanno prevalso considerazioni di natura economica, di bassa renumeratività o scarsa attrattività dell’occupazione.

Giovani donne, giovani madri

Con queste premesse, soprattutto per le più giovani, immaginarsi madre è impossibile e per niente cool. Senza considerare che la maternità a 18 o 20 anni rappresenta una condizione che non incontra propriamente una parabola temporale che si addice a quell’età, perlopiù dedicata allo studio – alfabetizzazione, aspirazioni culturali, partecipazione pubblica: obiettivi faticosamente raggiunti dalle nostre antenate – e a imparare a stare al mondo, nella relazione con Sé e l’Altro.

L’invenzione della maternità: Hegel e la società borghese

Nei secoli ha attecchito, invece, l’invenzione della maternità non solo come fatto naturale, ma anche sociale. O, meglio, ci si è adoperati per sfruttare la natura biologica generatrice del corpo femminile per avallare la tesi di funzione sociale della maternità. I pensieri dei filosofi che hanno contribuito a costruire la società moderna nelle sue fondamenta valoriali e ideali hanno imbevuto le sfere sociali di ogni altezza e grado, e viceversa, come un moto ondoso e inarrestabile.

Che la donna fosse “eterna ironia della comunità” e che il ruolo di cura fosse il più adatto per la realizzazione della Wieblichkeit – la femminilità – lo diceva Hegel, agli albori della società borghese, che per le donne significò solo la ghettizzazione ad angelo del focolare e per affrancarsene – si nota – non basterà diventare comandante della stazione spaziale internazionale, presidente della commissione europea o vicepresidente degli Stati Uniti.

È molto italiano – e di un’Italietta ancora post-patriarcale che reinventa in salsa istituzionale le ancelle di Margaret Atwood – l’upgrade della maternità a missione sociale e patriottica per il corretto funzionamento del Paese.  

Carla Lonzi e maternità, la denuncia degli anni Settanta

Quando Carla Lonzi, intellettuale dal ruolo cruciale per la costruzione del pensiero femminista italiano, scriveva, in quegli anni particolarmente esaltanti fra Jane Fonda in piazza a Campo de’ Fiori, lotte politiche e minigonne, “sputiamo su Hegel”, intendeva denunciare i fondamenti profondi della filosofia moderna che avevano concepito la donna come sfuocata, unicamente complementare e incompleta. E invocava la liberazione. “Denunciamo lo snaturamento di una maternità pagata al prezzo dell’esclusione”, si legge nel Manifesto di rivolta femminile (Roma, 1970) di cui Lonzi è autrice.

“La donna – prosegue – è stufa di allevare un figlio che le diventerà cattivo amante”. E conclude: “Della grande umiliazione che il mondo patriarcale ci ha imposto noi consideriamo responsabili i sistematici del pensiero: essi hanno mantenuto il principio della donna come essere aggiuntivo per la riproduzione dell’umanità […] Sputiamo su Hegel”.

Madri in Italia, una tappa obbligata

Alcuni decenni dopo, si è ancora intenti a rinforzare il pensiero di famiglia come addizione programmata e necessaria per le donne, invece di una moltiplicazione scelta fra partner di vita, e di maternità come unico e felice traguardo della vita di una donna: politici – leader o tirapiedi –, e media concorrono nella rappresentazione univoca di donne e femminilità, appiattite a madri e mogli.  

Come diventare madri in Italia: all’Italia servono donne e uomini completi

Se “liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell’uomo, ma esprimere il suo senso dell’esistenza”, allora occorre affrancarsi dalla concezione dell’esistenza dal retrogusto iper-performativo come di divisione fra tappe, traguardi o aspirazioni imposte. Evitare di pensare la vita come alternanza fra infanzia, adolescenza, fidanzamento, sesso pavido, matrimonio, sesso procreativo e morte. Non pensare la vita come elenco di traguardi è anche immaginare collettivamente un percorso di vita differente, consce della propria differenza e forgiato da una visione ampia di femminilità, in cui, coadiuvate da politiche e pensieri ugualmente visionari, donne (e madri) si possa diventare davvero.

Quattro anni fa, Patrizia Cavalli scriveva: “Vita meravigliosa sempre mi meravigli / che pure senza figli mi resti ancora sposa”. Se la poesia è messa a terra di pensieri a disposizione della comunità, allora questo della poetessa umbra venuta a mancare recentemente è un manifesto in versi di liberazione rivolte a donne e uomini che non devono completarsi, donne e uomini prismatici, imprevisti: ciò che l’Italia ha bisogno per crescere.

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