L’Unione europea nel mirino di Musk. Davvero è l’apripista di Trump?

Il miliardario europeo ritiene superata la democrazia liberale e l’Unione europea un’ambizione sbagliata. Ha difeso Salvini e attaccato i magistrati. In Germania, assicura ai tedeschi che Alternative für Deutschland è il solo partito in grado di spazzare via la mediocrità in cui affogano. Ultima tappa, Londra. Attacca Keir Starmer e lo accusa di non aver fatto nulla, quando era procuratore della Corona, contro gli stupri di massa del 2010-2013. E ne dice, ovviamente, all’antieuropeista chiassoso, Nigel Farage. È l’apripista di Donald Trump in Europa, oppure ne esaspera l’aggressività così da lasciargli spazio per i negoziati?

Roberto Guerriero
5 Min di lettura

È facile tirare le somme e concludere che nulla è cambiato e due più due continua a fare quattro. Elon Musk saltella dalla sua piattaforma X al quotidiano tedesco Walter am Sonntag con l’agilità di un Tarzan e urla a mezza Europa che i suoi sabotatori presto le daranno il colpo di grazia. Matteo Salvini, Alice Elisabeth Weidel, Nigel Farage si trasformeranno, così lì immagina l’irruento miliardario, in altrettanti uomini bomba pronti a deflagrare e a far deflagrare quell’inutile entità chiamata Unione europea. Novello e redivivo Karl Marx, Musk ha lanciato il suo grido: estremisti di tutto il mondo, unitevi!

A leggere le cronache di questi giorni, a molti sembrerà di essere entrati nel gorgo di una distopia, cioè una di quelle utopie negative che talvolta si affacciano ai margini di un incubo notturno per svanire una volta aperti gli occhi alla luce. Musk ha iniziato il suo tour belligerante verso l’Unione con un attacco ai magistrati italiani che avevano rinviato Matteo Salvini a processo per la vicenda della Open Arms con l’accusa di sequestro di persona avendo lasciato, per 19 giorni, 147 persone a bordo dell’imbarcazione. Quei magistrati erano da cacciare, ha sentenziato Musk il quale ha pensato bene di condire quella sentenza con tanto di elogi a Salvini. Neppure una citazione per Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio, si sa, è nella cerchia dei beniamini del focoso e inquietante tycoon. Come sempre, è stato Mattarella a prendere le difese della dignità del Paese. Con parole misurate, ha ricordato a Musk che l’Italia sa badare a se stessa e sa bene cosa fare e come farlo.

Più incendiaria, ma ormai è difficile trovare superlativi o comparativi adeguati a descrivere le imprese del tentacolare miliardario, è stata l’entrata in tackle di Musk sulla campagna elettorale tedesca. L’equazione da lui impostata per certificare la natura democratica di Alice Weidel dovrebbe scuotere dal torpore l’universo woke: poiché Alice è lesbica e condivide la sua vita affettiva con una compagna per di più di colore, essendo dello Sri Lanka, come osare di paragonarla a Hitler? È semplicistica la considerazione, ma è un’arma potente. Quell’arma esplode sulla sinistra e più in generale sui movimenti progressisti occidentali, succubi da qualche decennio dell’ideologia del “politicamente corretto”. È la cultura democratica che viene chiamata in causa e costretta a guardarsi allo specchio per ridefinire su basi diverse, più solide e meno aleatorie, un’identità che aveva smarrito il profilo sociale. Valori come l’eguaglianza sociale, la cittadinanza, l’accesso ai diritti di cittadinanza, sono via via sbiaditi nel tempo per far posto alle lotte sul gender, o all’espansione dei diritti Lgbtq+ come se dalla tutela di diritti soggettivi, certamente importanti per misurare lo stato di salute delle libertà civili, potesse o dovesse dipendere tutto il resto. Le democrazie atlantiche hanno finito per trascurare “il resto”, lasciandolo nelle mani dei movimenti populisti e alla loro libera manipolazione. È stata una caduta drammatica di credibilità delle forze riformiste e liberali. Abbandonato il solido retroterra del Novecento, hanno confuso le questioni del presente pensando di costruire così un futuro senza più i conflitti sociali. Un errore clamoroso, poiché non esiste democrazia senza i conflitti e senza la loro manifestazione attraverso i canali istituzionali. Musk ha intercettato la fragilità di questo tempo. Ha intuito la friabilità del tessuto connettivo e l’indebolimento della coesione sociale. E ha colpito duramente senza incontrare resistenze apprezzabili salvo qualche lamentazione di rito.

Resta da chiedersi: Musk è davvero l’interprete autentico di Trump? È davvero l’apripista dopo il quale un tornado spazzerà via l’Unione europea e 70 anni di storia? Oppure le sue sortite hanno il valore del monito, dopo il quale arriva Trump si riserva di tornare all’arte della diplomazia, sia pure con i modi poco felpati che gli si addicono? È la domanda dalla cui risposta si potrà capire in quale tornante si trova la storia dell’Europa.

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