In Toscana ci sono molti comuni, di tradizione non tanto di sinistra quanto comunista tout court. Territori che hanno una storia profonda di falce e martello, dove i compagni socialisti erano alleati di necessità, ma rimanevano ‘socialtraditori‘ o ‘socialfascisti’ alla Lenin maniera.
Fra questi ci sono anche Cortona e Piombino. Nel primo il centrodestra trainato da un guerriero del ‘prima i cittadini’ aveva già incredibilmente vinto. Nel secondo lo stato di crisi perenne delle attività industriali aveva provocato il ribaltone miracoloso. A Cortona gli alleati avevano sfiduciato per il secondo mandato il sindaco uscente, per non aver ‘tenuto presenti le istanze dei partiti’. Costui ha sbaragliato prima la destra e poi la sinistra. A Piombino il sindaco contrario al rigassificatore si era posto contro il governo, il suo partito, gli alleati. Qui scontro frontale non c’è stato, ma la sua lista civica ha trionfato sui partiti di centro destra ridotti a micro percentuali e poi sulla sinistra.
I due casi limite non sono un’eccezione. Se si guarda una mappa dei comuni che hanno votato in quest’ultima tornata si nota che ben oltre il 90% dei sindaci toscani vincenti sono civici.
Se si rilegge il saggio del prof Putnam si può rammentare che la Toscana è fra le regioni italiane una di quelle a più alto senso civico e a rete orizzontale, cioè con rapporti sociali funzionanti e in gran maggioranza indenni da padrinati e dipendenze.
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La scelta civica è anche figlia di questa sensibilità e maturità sociale. Dimostrazione della crescente consapevolezza dell’importanza di territorio, autonomia, comunità, diritti. Il dato fornito dall’esperienza e dalla scienza della politica conferma quanto Tocqueville (1805/1859) pioniere di democrazia spiegò e cioè che l’obbiettivo dei governi democratici era rispondere alle necessità degli elettori e dei territori prima che a direttrici lontane, idee presupposte, paradigmi religiosi. Dagli ordinamenti locali a quelli internazionali i concetti non variano. L’Unione Europea (UE) si è rivelata oggettivamente estranea alle comunità, alle identità, ai diritti e agli interessi delle popolazioni. I mantra UE e del pensiero unico si sono incentrati sulla sacralità della concorrenza e del libero mercato, della stabilità finanziaria, della valenza esclusiva della contabilità nominale, del green a ogni costo.
L’Ue ha poi privilegiato funzionari e procedure prima che cittadini e soluzioni concrete.
Al saldo dei conti queste politiche hanno comportato cessioni importanti di indipendenza, sovranità, libertà di scelta. A fronte si è registrato un impoverimento generale delle popolazioni, una diminuzione delle facoltà di spesa ,delle tutele sociali, un aumento incontrollato di fenomeni inflattivi, costi bancari, energetici, accompagnati dalla compressione delle iniziative economiche non rispondenti alla compattezza, alle regole di stabilità dei conti e delle burocrazie, in una continua e insensibilità verso le necessità delle genti e dei territori. Si è compreso che il meccanismo fa crescere la ricchezza di pochissimi e la povertà di centinaia di milioni di persone.
Il disagio cresce per lo stato di guerra abbracciato con un entusiasmo degno di miglior causa.
Lo strapotere di banche e finanza in un sodalizio ferreo con le burocrazie e il disinteresse ai guasti creati nel tessuto sociale hanno allontanato il consenso elettorale, creato malumori, ribellioni talvolta simili a sommosse, anche in popoli tradizionalmente obbedienti e anche dinanzi al parlamento europeo. Naturale che la reazione elettorale si sia fatta sentire: sia nell’astensionismo senza precedenti (53% ), sia nei trionfi dei movimenti identitari, sbrigativamente e colpevolmente tacciati di ‘estremismo di destra’. Comoda scappatoia per eludere il cuore del problema circa il rifiuto del globalismo finanziario incondizionato.
La situazione avrebbe richiesto che i vertici avessero valutato le indicazioni dell’elettorato.
Che ci fossero state interlocuzioni e una mitigazione del contesto. Hanno invece funzionato le consuete diplomazie politiche dei ‘caminetti’, la semplice ricerca di una maggioranza aritmetica, sorda ai disagi, basata sul programma avversato. Si era facili profeti a prevederlo. Come a preannunciare l’inutilità del voto e il velleitarismo di chi chiedeva consensi con lo slogan ‘Giorgia cambia l’Europa‘ è un armamentario pubblicitario da plebiscito e ultima spiaggia.
Non adesso e non qui si dirà degli errori commessi né della risibilità dei critici che imputano responsabilità per il voto contrario. Valga la lezione che in pericoloso eccesso di autostima si era convinti di avere aperte più opportunità e ci si è trovati con gli spazi occupati fuori e dentro la stanza dei bottoni. Neppure con il cerino in mano. Piuttosto con una mano davanti e una di dietro.
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