L’America sospesa fra isolazionismo e nuovo protagonismo, ecco la posta in gioco il 5 novembre

Fare di nuovo grande l’America, voltando le spalle al mondo e ai suoi drammi, oppure disegnare un nuovo protagonismo rinnovando le radici della democrazia insieme agli alleati di sempre come l’Europa? L’America sarà più forte rinunciando alle responsabilità di potenza globale oppure deve segnare la rotta verso le sfide temibili che arrivano da Pechino, Mosca e Teheran? Il 5 novembre gli americani dovranno scegliere quale delle due visioni del mondo sia più utile e conveniente per loro. Trump o Harris (o chi ne prenderà il posto) sono i corni del dilemma

Jean-François Paul de Gondi
4 Min di lettura

Timothy Naftali, professore universitario all’Institute of Global Politics della Columbia University, direttore della Fondazione Biblioteca e Museo presidenziale Richard Nixon e autore di una monografia su George Bush, è un repubblicano per così dire “tradizionalista”. Lontano dalle performances di sguaiatezza di Donald Trump, Naftali ha espresso senza reticenze il suo punto di vista sulla posta in gioco il prossimo 5 novembre, quando gli americani andranno alle urne per scegliere il successore di Biden. Intervistato il 22 luglio da Foreign Affairs, antica e prestigiosa rivista di politica estera, Naftali ha sottolineato la mutazione genetica provocata nel Grand Old Party con l’arrivo di Trump.

“Fin dal 1952 – ha spiegato Naftali – quando l’ “internazionalista” generale Dwight Eisenhower vinse la competizione per l’anima del Partito Repubblicano sul senatore isolazionista Robert Taft, le due parti hanno presentato come fondamentale differenza la loro visione del mondo e il posto che in esso deve occupare l’America. Fin dal 1952, entrambi i partiti sono stati internazionalisti nella loro proiezione dell’America sulla scena globale. Il presidente Trump, nella sua prima elezione è stato un’eccezione, ma il Partito Repubblicano che egli guida era diviso su questo tema”.

La posta in gioco

In questa valutazione del prof. Naftali è raccolta la sostanza più intima della posta in gioco con il voto di martedì 5 novembre. Il modo dell’America di occupare un posto nel mondo dice tutto agli occhi di chi osserva dall’esterno, al di qua dell’Atlantico o al di là del Pacifico. Un po’ meno dice agli elettori americani, poco o niente dice alla working class e alla rural America. Trump non è divisivo per come lo vediamo dalla Tv. Ai palati raffinati, abituati alla politica con le sue liturgie e il suo lessico, ai ragionamenti arabescati che poi suonano truffaldini alle orecchie del campagnolo dell’Arkansas o del pescivendolo di Sacramento, Trump propone equazioni tanto rivide quanto semplici: chi ha portato milioni di immigrati illegali? Kamala Harris, è la sua risposta, veritiera. Chi ha bloccato la costruzione del muro con il Messico? Kamala Harris. Chi ha riportato l’America nel trattato Cop26 sull’ambiente, facendo un regalo all’espansionismo commerciale e non solo di Xi? Kamala Harris.

Kamala Harris, rinsaldare legame con l’Europa e vantaggi per il ceto medio

Si può ragionevolmente ipotizzare che Kamala Harris, una volta che la Convention democratica di Ferragosto la confermerà candidata, dovrà impegnarsi su un duplice fronte: da un lato smontare l’agenda di Trump, per mostrarne la natura puramente difensiva con il rischio di perdere quote importanti di mercato nel mondo. Dall’altro lato dovrà disegnare un’agenda ambiziosa che abbia due obiettivi principali: rinsaldare il ruolo di potenza globale degli Stati Uniti, e quindi il legame vitale anche se non più esclusivo con l’Europa; proiettare sul piano interno i benefici di questa visione, mostrandone i vantaggi per il farmer del Texas e per quella middle class urbana sui cui conti correnti sono entrati pochi spiccioli negli ultimi anni.

In un tweet su X, Harris si è rivolta al ceto medio, per essere più precisi a quel che rimane del ceto medio e a quella quota di americani che aspira ad entrarvi, per rassicurare che i servizi sociali per l’infanzia, o l’accesso alle cure sanitarie e alle scuole pubbliche dovrà essere “a giusto prezzo”. Non sarà più l’Obamacare, il med-care che tante polemiche suscitò per la disparità fra i costi e la ristrettezza delle cure. “Un giusto prezzo” è la conferma di quell’adagio antico come l’America “There is no such thing as a free lunch”: non c’è niente di gratis a questo mondo.

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