Israele, Palestina e Hamas: identità inconciliabili e scontro di civiltà

Redazione
9 Min di lettura

Un territorio conteso, due popoli contrapposti, un conflitto inestricabile alimentato da ideologia, politica, religione e interesse economico

Israeliani e palestinesi lottano da anni nello spazio angusto di una terra apparentemente troppo stretta per ospitare entrambi.

Due le parti in guerra, altrettanti gli schieramenti internazionali alleati dell’una o dell’altra. Sullo sfondo un’opinione pubblica sempre più accesa e polarizzata, talvolta anche violenta, quando figlia di pregiudizi ideologici che trascendono ogni analisi razionale.

Israele, nato dalle aspirazioni di un popolo che ha subito il peggior crimine che la storia ricordi e dalla convinzione che non possa esserci un’identità popolare in assenza di una patria nazionale ove riconoscersi, rivendica il proprio diritto di vivere in pace nello Stato costituito nel 1948 con risoluzione Onu, al riparo dagli attacchi di matrice terroristica sferrati dal mondo arabo.

I palestinesi riconoscono negli israeliani un mero gruppo di invasori, rinnegando la legittimità di una nazione ebraica costituita forzatamente in territorio arabo, per volontà delle grandi potenze internazionali e nell’indifferenza assoluta per chi su quelle terre viveva da anni, ora testimone involontario del disgregarsi della società palestinese. Insomma, un’azione politicamente immorale avvertita come una pesante ingiustizia storica.

L’idea è quella di due popoli accomunati da un’importante storia di sofferenza e da un forte senso di appartenenza ai luoghi della Palestina e d’Israele, al contempo oppressi, tuttavia, da un sentimento d’odio reciproco, motivato dal riconoscimento nell’altro del grande nemico usurpatore. Ad animare entrambi, un disprezzo viscerale per chi si è appropriato di ciò che si ritiene appartenga, per diritto o per natura, alla propria gente e che non può che essere il responsabile unico di quel costante senso di perdita che corrode dall’interno il cuore del Medioriente. Ma siamo sicuri che, ad oggi, la vera controparte d’Israele sia la Palestina?

“L’Italia è contro Hamas, non contro la Palestina”

Lo scorso 16 ottobre, il ministro Antonio Tajani, dichiarava che “l’Italia è contro Hamas, non contro la Palestina”. Parole, queste, ripetute da molti leader europei e mondiali, a testimonianza di una comune percezione dello scardinamento identitario tra le storiche rivendicazioni palestinesi e la politica del terrore attuata da Hamas a partire dal 7 ottobre 2023. Quanto c’è delle ragioni dell’uno nelle azioni dell’altro?

Hamas, un’organizzazione politica e paramilitare islamista e fondamentalista che ha ben poco del classico partito di resistenza nazionale, porta avanti un disegno inequivocabile: condurre i propri membri alla “guerra santa” per distruggere lo Stato d’Israele e dar vita alla grande Umma di fedeli musulmani.

Con ogni evidenza, alla base di tutto non c’è il desiderio di riconoscimento dell’indipendenza nazionale del popolo palestinese, ma un cieco odio religioso nei confronti di tutti coloro che non appartengono alla fede islamica.

D’altronde, nelle parole del capo di Hamas, con cui sostiene che il sangue degli innocenti a Gaza è il necessario prezzo da pagare per infiammare l’animo rivoluzionario dei guerrieri terroristi, non possiamo che scorgere il programma di un fanatico religioso anziché quella di un leader politico.

Risoluzione del conflitto: è possibile?

A fronte di un avversario politico e militare di questo tenore, è davvero possibile ipotizzare una risoluzione del conflitto? Si può scendere a patti con chi si pone come unico obiettivo l’annientamento di un popolo? A distanza di anni dall’inizio delle tensioni in Medioriente, rispondere a domande simili si fa sempre più difficile, anche a causa della crescente complessità della questione israelo-palestinese, divenuta ormai palcoscenico di una lotta non soltanto locale ma internazionale, dove l’attenzione, specialmente dell’opinione pubblica, mira più all’individuazione di un bersaglio su cui scaricare sommariamente le colpe, che alla ricerca di una soluzione razionale al conflitto.

A radicalizzare lo scontro tra Israele e Palestina ragioni di natura storica, economica e religiosa

A radicalizzare lo scontro tra Israele e Palestina ci sono ragioni di natura storica, economica e religiosa.

L’ostilità palestinese-israeliana ha origini lontane. Già a cavallo tra le due guerre mondiali, infatti, il movimento sionista subì importanti evoluzioni interne e lo “Yishuv”, l’insediamento ebraico in Palestina precedente alla costituzione dello Stato d’Israele, alterò fortemente la composizione sociale ed economica del territorio, destabilizzando la comunità palestinese.

Al termine della seconda guerra mondiale, la drammatica consapevolezza che l’Europa non sarebbe mai più stata un posto sicuro per gli ebrei, diede definitivamente forma allo Stato ebraico. L’idea di una società giusta, fondata sui migliori principi egalitari che, proprio grazie agli orrori subiti, acquisivano il tenore di dogmi incontrovertibili, venne attuata mediante l’espropriazione e l’acquisto di molte terre palestinesi, spesso da proprietari assenteisti, senza alcuna preoccupazione per coloro che vi lavoravano e risiedevano.

L’incontestabile validità dei motivi trovò difficile riscontro nelle modalità, dando vita a un’identità israeliana in parte compromessa da una profonda contraddizione interna, che scosse anche parte della comunità ebraica e sovvertì l’ordine locale, dando il via a una condizione di occupazione e scontro militare continuato, che pose i germi di quel risentimento latente che sarebbe sfociato poi nel nazionalismo arabo e nelle sue frange più radicali.

Al consolidarsi di uno Stato ebraico in un territorio e in una società in buona parte non ebraica, infatti, si accompagnò una violenta reazione del mondo arabo, fatta di attentati e attacchi armati che, ancora una volta, non possono trovare nella presunta validità dei motivi una giustificazione alle modalità distruttive attuate.  

La reciproca ostilità portò entrambe le parti a rinnegare la legittimità dell’altra, da un lato negando ai palestinesi un’ autonoma identità nazionale distinta dalla restante parte del mondo arabo, dall’altro, seminando terrore in tutta l’area coinvolta, come testimonia la politica attuata a suo tempo dall’Olp e dagli gruppi jihadisti antisemiti.

A rafforzare le ostilità, la scarsa propensione di una parte del mondo politico locale e internazionale a riconoscere dignità agli interessi dei palestinesi, escludendo persino la possibilità di ravvisarvi una popolazione con distinte caratteristiche etniche e nazionali, il mancato disconoscimento dei movimenti stragisti e terroristici mai realmente ripudiati dalla comunità palestinese, nonché la difficile convivenza reciproca tra due popoli estremamente diversi per cultura, religione, politica, livello di sviluppo economico-industriale e avanguardia tecnologico-militare.

Due popoli sofferenti, uniti da un destino comune

Volendo superare la rigida polarizzazione che porta chiunque a schierarsi con l’uno o l’altro a seconda delle proprie personali convinzioni e sensibilità, occorre riconoscere l’esistenza di due popoli sofferenti, indeboliti da un’identità recisa e compromessa e uniti da un destino comune fatto di privazioni, scontro armato, forze reazionarie all’interno e dominio avversario all’ esterno.

Due popoli mossi dalla paura, che ripetono ciclicamente l’uno gli errori dell’altro e che faticano a individuare soluzioni politiche concrete, limitandosi a porre in essere azioni di guerra a proprio e reciproco danno.

Un destino forse scongiurabile con l’avvio di un progetto di ricostruzione sociale che miri, in un contesto israelo-palestinese allargato, a garantire a ciascun popolo indipendenza, capacità di autodeterminazione nazionale e di cooperazione collettiva tesa alla realizzazione comune delle reciproche istanze.

Senza dubbio un progetto di complessa realizzazione, specialmente quando forze intestine agiscono allo scopo di far crollare qualsiasi presupposto di dialogo e collaborazione tra i popoli.

Il pogrom anti-ebraico messo in atto da Hamas lo scorso 7 ottobre, infatti, non aveva altro fine che quello di seminare il panico, generare il caos e instillare un sentimento di odio e intolleranza così viscerale da escludere qualsiasi possibilità di accordo futuro.

Insomma, una situazione estremamente complessa e potenzialmente allarmante anche per l’equilibrio geopolitico mondiale. A pagarne il prezzo, come sempre, centinaia di vittime ogni giorno.

© Riproduzione riservata

Condividi questo Articolo