Guerre senza pietà: l’umanità anestetizzata di fronte alla sofferenza. Vittime innocenti in aumento

Volti di bambini sopravvissuti alla guerra: nei loro occhi si legge il trauma di conflitti che hanno strappato loro l’innocenza.

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Ogni conflitto armato porta con sé un tragico bilancio di vittime civili, e a pagare il prezzo più alto sono spesso i bambini. Negli ultimi anni il numero di innocenti colpiti dalla violenza bellica è in costante crescita: tra il 2005 e il 2022 almeno 120.000 minori sono stati uccisi o mutilati nel corso di guerre in tutto il mondo. Sono cifre spaventose, dietro cui si celano vite spezzate e famiglie distrutte. In Siria, Yemen, Sudan e in molti altri conflitti “dimenticati” la carneficina prosegue nel silenzio generale. E anche nei teatri di guerra più mediatici gli innocenti continuano a cadere: in quasi due anni di guerra in Ucraina oltre 560 bambini hanno perso la vita sotto le bombe, mentre nella Striscia di Gaza in pochi mesi di combattimenti recenti sono morti più di 5.000 bambini. Perfino in Israele decine di bambini sono rimaste uccise durante un singolo attacco terroristico. Di fronte a queste tragedie emerge un interrogativo lacerante: dov’è finita la pietà del mondo verso i più indifesi?

Scene e notizie che un tempo avrebbero sconvolto le coscienze ora sembrano lasciare molti anestetizzati. L’orrore ripetuto ha reso il pubblico assuefatto, quasi incapace di provare la stessa empatia di un tempo per la sofferenza altrui. Come ha osservato amaramente un portavoce di UNICEF Italia, oggi si vedono proteste ovunque con slogan politici – “Free Palestine” da una parte o sostegno a Israele dall’altra – ma nessuno scende in piazza per dire che neanche un bambino deve morire in guerra. È un segnale allarmante di quanta compassione abbiamo perso per strada. Ci indigniamo forse per un giorno davanti alle immagini di una scuola bombardata o di un ospedale in fiamme, ma poi l’attenzione si sposta altrove e cala il silenzio. Quando si spengono i riflettori, le guerre ancora in corso continuano a mietere vittime nel disinteresse generale. Il senso di pietà che un tempo ci univa di fronte al dolore dei civili innocenti sembra essersi smarrito, vittima anch’esso di un conflitto di valori in un mondo assuefatto alla violenza.

Mentre l’umanità perde empatia, la politica internazionale perde occasioni di pace. Invece di incentivare il dialogo e il disarmo, i governi continuano a investire somme colossali nell’industria bellica. La spesa militare globale nel 2022 ha toccato la cifra record di 2.200 miliardi di dollari  – una cifra astronomica, 42 volte superiore a quella necessaria per affrontare le peggiori emergenze umanitarie mondiali. Le potenze mondiali incrementano i budget per nuovi armamenti, mentre la povertà e le disuguaglianze si aggravano ovunque. Ogni giorno, infatti, circa 9.000 persone muoiono di fame principalmente a causa degli effetti dei conflitti in corso. Eppure, queste vite perse per stenti non fanno notizia quanto l’ultimo ritrovato bellico o l’ennesimo stanziamento per la “difesa”.

Le priorità risultano drammaticamente invertite: i bilanci statali trovano miliardi per le armi, ma non per salvare i bambini dalla miseria e dalla guerra. Emblematico è il fatto che quattro dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU (USA, Russia, Francia, Cina) siano anche tra i maggiori esportatori di armi al mondo  – coloro che dovrebbero garantire la pace, di fatto traggono profitto dalla vendita di strumenti di morte. Nel frattempo, la popolazione soffre: nell’Unione Europea un cittadino su cinque è a rischio povertà o esclusione sociale (parliamo di 94,6 milioni di persone), mentre i governi spendono cifre senza precedenti per riarmarsi. Questa è la crudele ironia del nostro tempo: invece di disinnescare le guerre investendo nel benessere e nel dialogo, alimentiamo l’escalation con più armi, come se fossimo anestetizzati anche nelle scelte politiche e non solo nei sentimenti.

Sommosse sociali: l’Europa sull’orlo del caos

Manifestanti a Bruxelles protestano contro il caro vita (autunno 2022): l’aumento dei prezzi energetici e alimentari, aggravato dalla guerra, spinge le persone in piazza.

Le stesse politiche miopi stanno piantando i semi di pericolose tensioni sociali. In diverse città d’Europa la rabbia dei cittadini monta di fronte al caro vita e all’ingiustizia percepita. Nelle ultime stagioni abbiamo assistito a proteste di massa in Francia, Belgio, Germania e altri Paesi, con folle in piazza contro bollette insostenibili, carburanti alle stelle e salari erosi dall’inflazione. L’economia di guerra scatenata dal conflitto in Ucraina e dalle sanzioni ha innescato un effetto domino: fabbriche che chiudono, lavoratori ridotti alla soglia di sussistenza e famiglie che faticano a riempire il carrello. Di fronte a questa situazione, i sindacati e i movimenti sociali reagiscono: scioperi, manifestazioni e persino sommosse locali segnalano un malcontento crescente che le istituzioni farebbero bene a non ignorare.

Se il trend non cambia, il rischio è che questa onda di proteste travolga anche l’Italia. Finora nel nostro Paese la frustrazione sociale non ha raggiunto i livelli di esplosività visti altrove – al netto di sporadici cortei e scioperi, gli italiani sono rimasti in gran parte spettatori pazienti delle proprie difficoltà. Ma quanto potrà durare la calma apparente? Con oltre 5,6 milioni di italiani in povertà assoluta (dato preoccupante degli ultimi report ISTAT) e un’intera generazione che vede sfumare prospettive di benessere, basta una scintilla perché la tensione latente si trasformi in protesta aperta. Le sommosse sociali non sono uno scenario remoto: rappresentano il grido di chi non ha più nulla da perdere, in un continente che investe sui carri armati mentre i suoi cittadini faticano a riempire il piatto. L’Europa, culla di democrazia e diritti, rischia di ritrovarsi travolta dal disagio sociale se non verranno cambiate radicalmente le priorità politiche ed economiche.

Siamo arrivati a un punto in cui dobbiamo chiederci che fine abbia fatto la nostra coscienza civile e morale. Ogni bambino dilaniato da una bomba, ogni madre che piange il figlio sotto le macerie, ci chiede conto del nostro silenzio e delle nostre scelte. Politici, leader e cittadini del mondo: riuscite ancora a guardarvi allo specchio di fronte a tanta sofferenza? È una domanda scomoda ma necessaria. Abbiamo accettato l’inaccettabile per troppo tempo, voltando lo sguardo altrove mentre la guerra divorava vite innocenti e la miseria si diffondeva. Ora è il momento di risvegliarci dall’anestesia dell’indifferenza.

Serve un sussulto di umanità nelle stanze del potere e nei cuori di ognuno di noi. La politica deve ritrovare il coraggio della pace: tagliare le spese militari, sedersi davvero al tavolo dei negoziati e investire quei miliardi dove servono – nell’istruzione, nella sanità, nella lotta alla povertà. E noi, come società, dobbiamo tornare a provare pietà nel senso più alto del termine: partecipazione al dolore altrui e volontà di alleviarlo. Non possiamo permettere che la compassione diventi la prossima vittima collaterale della guerra. Di fronte alle lacrime di un bambino ferito, la sola risposta degna dell’umanità è agire per fermare la violenza. Ritroviamo la nostra coscienza e facciamone la bussola delle scelte future, perché solo così potremo, un giorno, guardarci allo specchio senza vergogna.

In definitiva, la guerra non uccide solo le persone: rischia di uccidere la nostra umanità. Fermarla e alleviare le sofferenze è un imperativo morale dal quale nessuno dovrebbe sentirsi esente.

Concludo nel volevi raccontarvi la storia di Re Salomone. La storia di un grande Re, il più grande della storia del mondo, un Re benedetto da Dio, che in persona gli aveva donato Sapienza e ricchezza oltre ogni misura, giustizia e prosperità infinita. Salomone sapeva più di chiunque altro cosa significasse il timore di Dio. Aveva scritto nei proverbi che “il principio della Sapienza è il timore del Signore” ma quella Sapienza, quella luce che aveva brillato così forte nei suoi anni giovanili, era stata offuscata dai compromessi dall’orgoglio, dalle influenze negative, che aveva permesso nella sua vita.

C’è una lezione potente da non sottovalutare mai: Dio è buono, sì, ma è anche giusto. Le nostre scelte, per quanto piccole possano sembrare, hanno conseguenze. Salomone aveva tutto, ma dimenticò la cosa più importante: rimanere fedele a Dio. Il risultato è stato un Regno glorioso che si avviava verso la divisione e il conflitto. Da qui incominciò a riflettere e disse vanità delle vanità, tutto è vanità. Aveva accumulato ricchezze da ogni angolo della terra – oro, argento, spezie, pietre preziose – e il suo Regno era il centro del mondo conosciuto, un luogo dove i Re venivano solo per ascoltare la sua Sapienza. Aveva sperimentato ogni piacere che la vita potesse offrirgli, eppure tutto questo non lo soddisfaceva più. Si era reso conto che era come cacciare il vento, cercare di afferrarlo e scoprire che non si può tenere nulla tra le mani. Pensava che chi ama il denaro non è mai soddisfatto del denaro e chi ama la ricchezza non ne ha mai abbastanza.

Salomone capì che le sue realizzazioni, per quanto grandiose, non avevano alcun valore eterno, non lo avrebbero seguito nella tomba e non avrebbero colmato il vuoto del suo cuore. Questo messaggio è sempre attuale in ogni epoca e tutti i potenti della terra: coloro che hanno responsabilità di comando, dovrebbero leggere il libro di Re Salomone, perché siamo tutti di passaggio in questo mondo e donare pace e prosperità alle proprie Nazioni è un dovere, affinché il nostro cuore cammini insieme a tutti noi siamo, in quanto siamo tutti interconnessi con l’universo. Tutti quanti.

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