Gambia verso la cancellazione del divieto alle MGF: un’analisi antropologica

Il problema relativo alle mutilazioni genitali femminili praticate in molti paesi africani di religione musulmana ha a che fare con il più ampio discorso della tensione esistente tra universalismo e relativismo dei valori ed è un esempio molto significativo e discusso per capire il contrasto tra culture

Anita Armenise
6 Min di lettura

I legislatori del Gambia, un paese dell’Africa occidentale, hanno votato a favore di un disegno di legge che abroga un divieto introdotto nel 2015. Se supererà la tornata finale di votazioni, il Gambia diventerà la prima nazione a revocare le protezioni contro la pratica delle mutilazioni genitali femminili.

Il Gambia abroga il divieto alle MGF

Il Parlamento di Banjul ha cominciato nei mesi scorsi una discussione su un disegno di legge, presentato dal deputato Almameh Gibba, che punta ad abrogare il divieto della pratica delle mutilazioni genitali femminili. Una seconda lettura del provvedimento era prevista per lunedì 18 marzo.

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Parlamento di Banjul

Dei 47 membri presenti all’Assemblea nazionale del Gambia, 42 hanno votato a favore di un disegno di legge per revocare il divieto. Ora la proposta dovrà essere esaminata da alcune commissioni del governo. Il Gambia è quasi totalmente musulmano e chi sostiene l’abolizione della legge che vieta le MGF, afferma che vietare la pratica significa togliere loro il diritto di praticare i propri costumi e tradizioni.

Esperti di diritti umani, avvocati e attivisti per i diritti delle donne affermano che revocare il divieto annullerebbe decenni di lavoro per porre fine alla mutilazione dei genitali femminili, un rituale secolare legato a idee di purezza sessuale, obbedienza e controllo.

Il Gambia ha vietato la pratica dell’escissione nel 2015, ma secondo quanto riporta il New York Times non ha applicato il divieto fino all’anno scorso, quando a tre praticanti sono state inflitte pesanti multe. Secondo il NYT, un influente imam del paese, si ricordi a maggioranza musulmana, ha sfruttato l’occasione per lanciare una campagna per l’abrogazione del divieto, sostenendo che l’escissione è un atto religioso obbligatorio, importante dal punto di vista culturale.

Gambia, un discorso antropologico sulle MGF

L’abolizione delle mutilazioni genitali femminili in nome dei diritti e della legge è spesso rifiutata dalle donne musulmane per motivi di identità religiosa e culturale e motivi che riguardano anche l’aspetto economico della loro società, come il prezzo della sposa.

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Il problema relativo alle mutilazioni genitali femminili praticate in molti paesi africani di religione musulmana ha a che fare con il più ampio discorso della tensione esistente tra universalismo e relativismo dei valori ed è un esempio molto significativo e discusso per capire il contrasto tra culture che oggi ci troviamo a dover affrontare.

Ed è proprio sul caso delle mutilazioni che emerge il conflitto tra il discorso antropologico e quello umanitario. In nome dei diritti universali dell’uomo, affermati nel XVIII secolo e diventati la bandiera ideologica del liberalismo occidentale, sono state combattute guerre, organizzati aiuti umanitari e intraprese battaglie ideologiche in difesa di coloro che, secondo gli attivisti del mondo occidentale, vengono privati di tali diritti, soprattutto nel Sud del mondo.

Ma la disciplina antropologica ha evidenziato che le posture pedagogiche e paternalistiche degli interventi e delle pratiche per lo sviluppo hanno scarso successo perché si basano su pregiudizi e condanne: infatti l’arretratezza culturale, il fanatismo religioso e il deficit educativo, assunti come chiave per inquadrare il problema del sottosviluppo, non spiegano la resistenza dei beneficiari ai programmi di sviluppo o ad una legislazione che dovrebbe proteggere le donne dalle MGF.

Infatti la questione riguarda il fatto che i principi che ispirano la vita delle popolazioni di tutto il mondo sono verità indiscutibili per quelle culture e rappresentano la migliore alternativa possibile; questo non significa che le verità stabilite dalla cultura occidentale debbano essere poste come assolute. Infatti la difficoltà occidentale di comprendere il punto di vista delle donne africane che praticano le MGF mostra i limiti dell’universalismo insito nel discorso sui diritti umani, attraverso il quale viene esportato un modello univoco e soggettivo, che spesso non porta ai risultati sperati.

Questo non implica ignorare i diritti e ammettere la legittimità di atti violenti e dolorosi, né accantonare questioni gravi in nome del relativismo e delle differenze. Rimane tuttavia aperta la questione antropologica che riguarda il nucleo del discorso sui diritti umani, caratterizzato da assolutismo culturale e tendenza al dominio.

A questo proposito, l’antropologo Fabio Dei ha riportato il caso di un ginecologo somalo, direttore del “Centro per la prevenzione e la cura delle complicanze delle MGF” di un ospedale fiorentino, che aveva proposto di sostituire le mutilazioni con un rito simbolico alternativo. Un rito simile a quello della sunna, diffuso in molti stati islamici dell’Africa, che potesse comunque soddisfare l’esigenza religiosa ma con un intervento molto meno invasivo.

Una collaborazione tra diritti umani e antropologia è una via percorribile se si presta attenzione non all’abolizione delle pratiche, da estirpare come erbacce, ma alla prospettiva di aiuto alle donne attraverso una maggiore comprensione e studio delle culture coinvolte.

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