La lezione di Fisher ai Verdi italiani sull’energia nucleare

Le sole rinnovabili non possono rappresentare la soluzione risolutiva per la decarbonizzazione. l’Italia ha assolutamente bisogno di tornare al nucleare

Beppe Santini
6 Min di lettura

Joschka Fisher, il padre ideologico dei Verdi tedeschi, si è detto favorevole al nucleare, come del resto ha fatto a sorpresa qualche tempo fa la sua nipotina Greta Thunberg, e non solo a quello civile, ma anche alle armi atomiche da installare in Europa in risposte alle minacce belliche di Putin. Una rivoluzione vera e propria per la teologia verde, con un messaggio chiaro al tic panambientalista di cui è ancora succube la fazione italiana di Bonelli: non tutto può essere sacrificato alla pace e nemmeno alla transizione verde ad ogni costo.

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Joschka Fisher

Il pragmatismo contro l’ideologia, insomma, e il ragionamento non fa una piega. Partiamo infatti da un dato oggettivo: le sole rinnovabili, che oggi contano meno del cinque per cento dell’energia totale consumata, non possono rappresentare la soluzione risolutiva per la decarbonizzazione, e dopo oltre un trentennio di scelte non fatte a causa di ideologie ambientaliste sbagliate, l’Italia ha assolutamente bisogno di tornare al nucleare. In questo senso, la posizione del governo italiano è in linea di massima favorevole a riaprire il dossier, con l’inserimento dei reattori nel piano energetico a lungo termine.

Il ministro Pichetto Fratin si è impegnato a far rimanere il nostro Paese “nel gruppo di partner di testa della conoscenza sul settore”. Ha abbastanza sorpreso, dunque, la decisione di non firmare alla Cop28 di Dubai l’appello per triplicare la produzione nucleare entro il 2050, anche se la nostra premier ha detto di non avere preclusioni su nessuna tecnologia sicura che possa aiutarci a diversificare la nostra produzione energetica, indicando la strada della fusione nucleare, che vede l’Italia più avanti di altri. Si tratta però di una prospettiva molto lontana.

Chicco Testa ha scritto sul Foglio che l’idea di Meloni è un po’ il tentativo di gettare la palla in tribuna, perché ci sono soluzioni più a portata di mano e aziende italiane già pronte a investire. Ci sono ad esempio i reattori di quarta generazione per la fissione e i futuri reattori a fusione, ossia il nucleare pulito senza scorie di lunga durata, che varrebbe la pena prendere in considerazione come una frontiera a cui tendere, vista anche la significativa crescita dell’interesse industriale sulla ricerca.

La costruzione di centrali nucleari sotterranee in passato venne esclusa perché aveva costi elevatissimi rispetto a una centrale in superficie ma oggi, con le nuove tecnologie, i costi e i tempi di realizzazione sarebbero di gran lunga inferiori, consentendo al nostro Paese di soddisfare in sicurezza almeno la metà del fabbisogno energetico nazionale. In piena sicurezza perché i dati dimostrano che l’energia nucleare è di gran lunga la fonte meno pericolosa: 0,04 morti per Terawattora prodotto contro i 24 del carbone e i 18 del petrolio.

La stessa Commissione europea, dopo mille tentennamenti, alla fine ha dato indicazioni molto chiare nella tassonomia: una transizione ragionevole deve usare tutti gli strumenti disponibili, e l’unica fonte in grado di competere con carbone e gas per forza, potenza e continuità della produzione è l’energia nucleare. Del resto, la drammatica crisi del gas russo ha dimostrato che la Francia, grazie alla capacità di produrre energia attraverso le sue centrali, ancorché a mezzo servizio, è stata il Paese meno vulnerabile d’Europa.

Oggi vi sono nel mondo oltre 400 reattori nucleari in attività, come per esempio in Francia dove sono presenti 58 reattori distribuiti su 19 centrali, coprendo circa il 30% del fabbisogno nazionale. Mentre l’uscita dal nucleare dopo lo choc di Chernobyl ha fortemente penalizzato l’indipendenza energetica italiana. Per cui sarà anche vero che “il nucleare non è la soluzione per domattina”, come ha detto l’inviato del governo italiano alla Cop28, ma non lo sono neppure le rinnovabili, e abbiamo il dovere di non perdere il treno partito da Dubai alimentando la ricerca per soluzioni più vicine.

Il paradosso del progresso materiale e tecnologico – ha scritto il Wall Street Journal – è che noi sembriamo diventare tanto più avversi al rischio quanto più il progresso ci rende maggiormente sicuri”. Semplificando: è giusto interrogarsi sull’energia atomica e sui suoi rischi, pretendere che si faccia tesoro delle esperienze drammatiche come quella che ha vissuto il Giappone dopo il terremoto, correggere gli eventuali errori e pretendere che i controlli siano sempre più esigenti in funzione della sicurezza. Ma è anche necessario non smarrire il filo della razionalità e non dimenticare mai che senza assunzione di rischi non ci sarebbe mai stato alcun progresso tecnico-scientifico, a maggior ragione oggi che il nuovo nucleare è praticamente a rischio zero.

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